Così i terrapiattisti hanno contagiato anche la politica e l’economia

scritto da il 14 Maggio 2019

La terra sarebbe piatta e noi tutti saremmo vittime di un complotto ordito da un movimento occulto allo scopo di negare l’esistenza di Dio. Di conseguenza, gli astronauti sarebbero degli attori e la Nasa una specie di Disneyland. Il 12 maggio scorso, cioè “poche ore” fa, non nell’Anno Domini 1633 (…il 22 giugno del 1633 Galilei fu condannato), s’è tenuto a Palermo il convegno dei terrapiattisti, un gruppo di personaggi talmente fantasioso e audace da dichiararsi pronto a negare addirittura la forza di gravità. Audentes fortuna iuvat? Di certo, ce ne scandalizziamo, ci lasciamo percorrere da un brivido comico-sprezzante e finiamo col non darcene pena: perché affliggersi per delle stramberie a basso costo? Questi signori, però, hanno avuto sui media più spazio di quanto ne hanno, di solito, studiosi e ricercatori, i quali umilmente e infaticabilmente si dedicano al progresso e al benessere della collettività. L’effetto paradossale è quello che cattura l’attenzione e genera interesse: Vladimir ed Estragon, protagonisti de Aspettando Godot di Beckett, sono talmente disperati da usare la cintura dei pantaloni per impiccarsi all’albero; il ramo, tuttavia, è secco e si spezza. La gente ne ride; in pratica, ride d’una grande tragedia. Ne consegue che, quando un evento oltrepassa, di forza e all’improvviso, i confini della nostra capacità d’interpretazione, noi, inconsapevolmente, ne accettiamo l’esistenza, ora indignandoci ora ridendone, ma non tentando quasi mai di contrastarlo seriamente.

L’anno appena trascorso – si badi bene! – non è stato solo l’anno dei terrapiattisti, ma è stato anche e soprattutto l’anno del ministro Di Maio, secondo il quale il corpo è costituito da più del 90% di acqua e la povertà è sul punto di essere abolita; è stato l’anno della sottosegretaria Castelli, nelle cui scienze economiche si ammette che lo spread non abbia alcuna incidenza negativa sui bilanci delle banche; l’anno del ministro Toninelli, a detta del quale gl’imprenditori italiani utilizzano il tunnel del Brennero per il trasporto su gomma, l’anno della senatrice Taverna, per la quale ci si vaccina andando a casa della zia e facendosi contagiare dai cuginetti; l’anno del ministro Salvini, il quale ha affermato in più circostanze che l’Italia è il paese che spende di più in Europa per i migranti o, pure, che l’Italia versa all’Europa sei miliardi in più del dovuto (… in realtà, è il quarto contributore con 2 miliardi circa). Insomma, è stato l’anno dei terrapiattisti, nella misura in cui il neologismo di categoria terrapiattisti sia inteso quale ampio iperonimo, vale a dire come termine che includa tutti i narratori di notizie infondate, i mentitori, gl’imbonitori e coloro che, trascinati dall’effetto Dunning-Kruger, hanno cercato e ottenuto visibilità.

Greta Ardito, Lorenzo Borga e Mariasole Lisciandro su Il Foglio hanno condotto un’interessantissima inchiesta, pubblicata l’8 aprile 2019, sulle dichiarazioni dei membri del governo gialloverde, passandole scrupolosamente al setaccio, e hanno potuto accertare che, in oltre 300 giorni di vita, l’esecutivo è riuscito a fare addirittura “271 dichiarazioni false, imprecise o fuorvianti”: 133 di queste bufale provengono dal M5S, 127 dalla Lega e 11 da membri indipendenti. Possiamo ancora meravigliarci del fatto che l’ingresso al convegno dei terrapiattisti di Palermo è costato 20 euro a coloro che – chissà per quale motivo – hanno scelto di andarci? A proposito della legge di bilancio sono stati documentati 19 errori, mentre 17 sono gli errori che riguardano il debito pubblico e altri 17 quelli sullo spread.

Verosimilmente, la conventicola palermitana non rappresenta un pericolo immediato per le sorti del paese, ma lo stesso non può dirsi per le azioni di Salvini, Di Maio, Borghi & Co. Matteo Salvini, in particolare, è il primo nella classifica degli errori e delle bufale ed è seguito proprio da Di Maio. Al terzo posto si colloca il Presidente della commissione Bilancio, Claudio Borghi. Il 3 marzo scorso, Francesco Prisco, su Il Sole 24 Ore, è riuscito addirittura a redigere un vero e proprio bestiario delle “cose di questo Governo“, un’enciclopedia minima, come la definisce lo stesso autore, dalla A di “agente provocatore” alla Z di “zero per cento”.

Premettendo che sarebbe molto utile e divertente farne un libro per far maturare quanto meno una visione completa della materia, qui – per esigenze di spazio e idoneità editoriale – ci limitiamo a trattare gli oggetti del desiderio della narrazione politica, tra i quali spiccano, purtroppo, il debito pubblico, il rapporto debito / PIL e, indubbiamente, lo spread. Tutte e tre le categorie sono state impietosamente e impunemente brutalizzate. L’uso dell’avverbio “purtroppo” è dettato dalle conseguenze che tutto ciò ha avuto e avrà sull’economia reale.

Dunque, secondo Luigi Di Maio e Matteo Salvini, il rapporto debito / PIL sarebbe stato fatto crescere dai governi precedenti. Qual è la fonte? Nell’articolo de Il Foglio, opportunamente citato, se ne trovano parecchie, sebbene sia difficile credere che la gente abbia dimenticato tutte le volte in cui i gialloverdi hanno mosso questa accusa al PD o a tutti gli altri: d’altronde, un nemico vale l’altro, purché ci sia. La tecnica è semplice: “a furia di ripeterlo, riusciremo a convincere gli elettori”. E, in effetti, repetita iuvant. Peccato però che la Notifica ISTAT sull’indebitamento netto e il debito delle PA racconti una storia diversa!

Grafico tratto dall'Informativa ISTAT del 22 ott 2018

Grafico tratto dall’Informativa ISTAT

La riduzione del rapporto è fin troppo evidente. Per completezza d’informazione, è bene dire che il documento è stato pubblicato dall’ISTAT il 22 ottobre 2018. Di conseguenza, dovremo attendere un po’ per verificare l’andamento del 2018. Studiandone i contenuti, apprendiamo che, nel 2017, l’indebitamento netto delle PA si è ridotto di circa 1,9 miliardi rispetto all’anno precedente e il saldo primario, cioè l’indebitamento netto al netto della spesa per interessi, è stato positivo, mentre la spesa per interessi è diminuita dello 0,1%.

In parole povere, il governo precedente non ha fatto crescere il debito.

Se, tuttavia, ci limitiamo a riportare la sola curva del debito, senza entrare nel merito della sua sostenibilità, allora è probabile che gli elettori ci acclamino come economisti messianici o profeti di sventura o – perché no? – come redivivi Savonarola del Welfare. Ricordiamo che, in linea generale, un debito è sostenibile nel momento in cui il suo costo è inferiore al tasso di crescita. Il giochetto non è per niente faticoso. Eccolo!

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Nulla di più fuorviante, falso e impreciso – per usare le parole di Ardito, Borga e Lisciandro in apertura del pezzo pubblicato da Il Foglio e summenzionato. Tra le altre cose, tra le balle connesse al debito, al deficit et cetera, si sente molto di frequente quella secondo cui i ‘governi precedenti’, gli altri, in parole povere, sono stati servi dell’UE. Rispondiamo subito dicendo che l’Italia non sempre ha rispettato i parametri di Maastricht, mantenendo anzi, dal 2007 al 2018, una quota di disavanzo media pari al 3,1%. Insomma, non ne azzeccano una, anche se, evidentemente, chi li sostiene se le beve tutte lo stesso.

Gli estremisti della compagine no-euro, capitanati da Borghi, quello stesso Claudio Borghi che, pur essendo presidente della Commissione Bilancio, conquista valorosamente il terzo posto nella classifica degli errori e delle bufale in materia di politica economica, sono soliti mostrarsi nostalgici e malinconici e non perdono occasione per richiamare i ‘bei tempi’, quei tempi in cui, per esempio, la Banca d’Italia garantiva il successo nelle aste dei titoli di Stato, ma dimenticano di dire che certe ‘garanzie’ si ottennero aumentando la massa monetaria.

L’aumento della massa monetaria determinò un traumatico aumento dell’inflazione e un altrettanto ‘patologico’ aumento dei tassi d’interesse. All’epoca, l’inflazione superò il 20%. Dal 1972 al 1974, il carovita – per dirla più semplicemente – passò dal 5 al 19 per cento. Sempre in quegli anni, il tasso dei mutui si aggirava intorno al 20%. Provate oggi a vendere un mutuo al 17 o al 18% e valutate la reazione dei padri di famiglia, che tendono a rifiutare il tasso variabile nel timore di oscillazioni al rialzo pure dello 0,5%!

Grafico a cura del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato

Grafico a cura del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato

La spesa pubblica folle degli anni ’70-’90 ha generato il peso insostenibile che paghiamo adesso e del quale non riusciamo a liberarci. Come si può notare osservando il grafico della spesa in percentuale del PIL, cui abbiamo sovrapposto un segmento e un rettangolo ad evidenziarne un tratto, l’integrale d’incremento, da cui non si è più tornati indietro, s’è fissato prima del divorzio tra Bankitalia e Tesoro.  Lasciarsi ammorbare dalla solita solfa secondo la quale il debito sarebbe esploso unicamente a causa della separazione del Tesoro della Banca d’Italia, così da incriminare definitivamente Carlo Azeglio Ciampi e Beniamino Andreatta, è un po’ come fare i terrapiattisti. I più romantici scrivono addirittura che quelli erano tempi d’oro perché i BOT rendevano anche il 20%. Importa poco che si trattasse di valore nominale, dato che l’inflazione ne erodeva buona parte?

Se qualcuno pensa che le fole non comportino un danno per il sistema paese, allora è il caso di ripercorrere rapidamente il cammino dello spread: il primo marzo del 2018, lo spread era intorno ai 130 punti base; alla fine dell’anno si attestava a oltre 250 punti, ma solo dopo aver superato abbondantemente i 320 punti base. Ciò significa che, entro il 2021, l’Italia dovrà pagare 4 miliardi in più agli investitori.

Sarebbe giunto il momento di capire cosa intendesse dire il signor Di Maio, quando chiese alla BCE di annullare bond per 250 mld… perché noi – bisogna confessarlo! – non lo abbiamo capito, forse per ottusità ontologica. Chissà!

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