Nuova rottamazione, facciamo chiarezza sul perché non è sufficiente

scritto da il 13 Giugno 2019

L’autore di questo post è Costantino Ferrara, vice presidente di sezione della Commissione tributaria di Frosinone, giudice onorario del Tribunale di Latina, presidente Associazione magistrati tributari della Provincia di Frosinone –

La rottamazione ter, il provvedimento principale di attuazione della cosiddetta “pace fiscale” prevista nel contratto di Governo gialloverde, ha avuto grande successo, facendo rientrare molte somme nelle casse dell’Erario, altrimenti difficilmente recuperabili.

Con questo provvedimento, lo ricordiamo, era possibile pagare le vecchie cartelle di Equitalia (Agenzia delle Entrate Riscossione) con lo sconto di sanzioni e interessi. Ma, soprattutto, cosa ben nota agli addetti ai lavori, la portata della norma non ha sortito effetti soltanto dal punto di vista del “risparmio” derivante dallo sconto, bensì ha consentito a migliaia di contribuenti (privati e aziende) di tornare in bonis ed avere una chance per pagare il proprio debito in maniera rateale. Quel che molti non sanno, infatti, è che ottenere la rateazione di un debito iscritto a ruolo, quando l’importo supera i 60.000 euro, è tutt’altro che semplice e, ancor più, se si è decaduti da una precedente rateazione diventa molto complesso riaccenderne un’altra. A questa ragione, a parere di chi scrive, è imputabile il grande successo della rottamazione ter.

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È di questi giorni l’approvazione dell’emendamento alla legge di conversione del decreto crescita, in base al quale la porta per accedere alla rottamazione ter e al saldo e stralcio sarà riaperta fino al 31 luglio. La misura, tuttavia, non lascia soddisfatti a pieno molti operatori del settore e contribuenti.

Anche a parere di chi scrive, sarebbe stato opportuno valutare non soltanto una mera riapertura dei termini per “riaccendere” la rottamazione ter, bensì ampliare la platea dei carichi definibili, ricomprendendo anche le poste a ruolo iscritte entro il 31/12/2018. L’attuale provvedimento, infatti, è limitato ai carichi affidati all’Agente della riscossione entro il 31/12/2017. Sono rimasti fuori, dunque, tutti i debiti contenuti in cartelle notificate nell’anno 2018 e in questi primi mesi del 2019.

Il motivo e le ragioni per cui sarebbe stato opportuno questo “rinnovo” della misura, invocato a gran voce da varie categorie, è rinvenibile, in verità, nello stesso contratto di Governo. In quel documento, Lega e Movimento Cinque Stelle affermavano come “le statistiche evidenziano che gli incassi della riscossione derivano quasi esclusivamente dalle rateazioni e da altre misure analoghe che mirano ad agevolare il pagamento. È evidente allora la necessità di un intervento per potenziare le procedure finalizzate al recupero bonario del credito”. Fu questa constatazione, sicuramente innegabile, che portò quelle forze politiche a concordare una “pace fiscale”, che contemperasse l’estinzione dei vecchi carichi tributari, accumulatisi nel tempo, per riscrivere un nuovo rapporto con i cittadini. “Esclusa ogni finalità condonistica”, proseguiva il contratto, “la misura può diventare un efficace aiuto ai cittadini in difficoltà ed il primo passo verso una ‘riscossione amica’ dei contribuenti”.

Tuttavia, va tenuto conto che gli inadempimenti fiscali degli anni precedenti (2015, 2016 o ancor prima), accumulatisi per effetto della “elevata pressione fiscale presente in Italia” e della “burocrazia molto articolata che impegna i contribuenti in eccessivi adempimenti, con rilevanti aggravi economici per essere in regola con il fisco” (sempre parole del contratto) sono confluiti in cartelle esattoriali formate e notificate nell’anno 2018. Infatti, ad esempio, a fronte di un omesso versamento di imposte avvenuto nell’anno 2016, solitamente la posta si “trasforma” in ruolo, e quindi in cartella, non prima di due anni dall’omissione.

In altri termini, le omissioni e le difficoltà incontrate dai contribuenti nelle annualità 2015, 2016, 2017 (anni per i quali si sottolineava l’intenzione di “sanare” i rapporti tra fisco e contribuente) si sono manifestati, sotto forma di ruolo e di cartella di pagamento, nell’arco di tutto il 2018. Dunque, essendo queste le premesse, si comprende come l’estensione della misura ai carichi affidati entro il 31/12/2018 abbia fortemente senso: non sarebbe altro che una letterale e pedissequa esecuzione delle intenzioni manifestate nel contratto di Governo.

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Se l’intenzione era quella di “fare pace” con i contribuenti, dando loro la possibilità di sanare gli inadempimenti perpetrati negli anni precedenti, l’estensione al 2018 appare come un atto non solo opportuno, ma anche doveroso per tener fede alle promesse.

Con il recente provvedimento, pur positivo ma insufficiente per quanto detto sopra, il Governo intende riallineare i ritardatari o chi, a causa delle festività, non è riuscito a presentare la domanda al 30 aprile scorso.

Tuttavia, la riapertura in questi termini sortirà, sempre secondo lo scrivente, un effetto abbastanza limitato, non rappresentando peraltro in pieno le volontà e le promesse contenute nel contratto di Governo, votato (indirettamente) da milioni di cittadini. C’è sempre tempo, comunque, per valutare un’auspicabile ampliamento della misura, in piena attuazione della volontà manifestata dall’elettorato e dagli impegni presi nei suoi confronti.