Aziendalizzare le cure primarie? Cosa dicono i medici di famiglia lombardi

scritto da il 15 Luglio 2019

L’autrice di questo post è Gabriella Levato, segretario generale regionale FIMMG Lombardia –

Ho letto con interesse, qui su Econopoly,  l’intervento di Luca Foresti dello scorso 10 luglio. Come responsabile del sindacato regionale, penso sia utile una qualche riflessione generale sulla medicina di famiglia, augurandomi che il mio contributo possa aprire una discussione più ampia, magari sulle pagine del vostro giornale.

È accertato che i servizi sanitari, dove il medico di famiglia (preferisco a medico di base) è il primo soggetto di riferimento per il cittadino sono universalmente riconosciuti come migliori, più efficaci (miglior salute) ed efficienti (minori costi e più appropriatezza) rispetto ad altri che non ne dispongono. il cittadino si rivolge al suo medico di famiglia ogni qual volta presenta un problema di salute, ma, sempre più spesso anche per un orientamento verso l’accesso ai servizi socio-assistenziali.

Il SSN italiano è considerato tra i migliori al mondo per i suoi risultati di salute sulla popolazione in confronto alle risorse impegnate.

Vero è che l’invecchiamento della popolazione e l’aumento di pazienti affetti da una o più patologie croniche portano a un aumento del carico di lavoro del singolo medico (mediamente 50 accessi allo studio quotidianamente), spesso insopportabile se non dispone di collaboratore di studio e infermiere: più volte abbiamo sostenuto che l’attuale modello di organizzazione della medicina generale non risulta più adeguato ai mutati bisogni della popolazione assistita e necessita di un importante ripensamento.

Caratteristica propria della medicina di famiglia è di garantire un servizio di prossimità e un accesso diretto, mantenendo centrale il ruolo del singolo assistito e della sua famiglia, promuovendo corretti stili di vita, percorsi di prevenzione (ricordiamo l’importanza delle campagne vaccinali e degli screening), una risposta rapida ad un problema di salute, la prescrizione di farmaci o di prestazioni diagnostiche o specialistiche (ricordiamo che da pochi giorni, anche su nostra sollecitazione è stata riconosciuta dalla Regione Lombardia la possibilità di eseguire prestazioni di telemedicina nei nostri studi), la continuità dell’assistenza caratterizzata da un forte rapporto di fiducia.

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È questo un percorso che i futuri medici di famiglia apprendono frequentando per mesi lo studio di un medico tutor durante il Corso di Formazione Specifica triennale in Medicina generale, una vera specialità anche se non gestita dall’Università, percorso che Luca Foresti sembrerebbe voler abolire.

Il medico di medicina generale così formato non è un medico generico ma uno specialista a tutto tondo, che mette a disposizione della sua popolazione assistita le sue competenze e la propria organizzazione strutturale.

L’idea di creare dei medici di famiglia “esperti”, specialisti di risulta, per esempio in diabetologia, come sembrerebbe suggerire Foresti, o permettendo l’accesso alla medicina generale a chi non ha acquisito il diploma al corso di formazione significa togliere valore alla nostra specificità: gli specialisti ci sono già e sono i medici di famiglia che ne attivano la consulenza.

L’analisi e l’organizzazione della risposta ai nuovi bisogni di salute necessita naturalmente di un ripensamento delle strutture, anche funzionale, dove operano i medici di famiglia, non pensiamo che aziende, pubbliche o private, nate per erogare prestazioni siano adatte a dare una risposta efficace nell’area delle cure primarie.

In Lombardia, inoltre, ci hanno anche provato, ma con scarsissimo successo: con l’avvio della presa in carico dei pazienti cronici e fragili la regione ha proposto una gestione dei malati cronici attraverso percorsi di cura con lo scopo di governare la domanda di salute. Sinteticamente, il modello proposto si è caratterizzato con l’individuazione della figura del Gestore (che si propone per soddisfare i bisogni di salute dei propri assistiti attraverso accordi con gli erogatori, organizzando un centro servizi)

Il centro servizi, oltre all’attività di call center offre al servizio sanitario anche la valutazione del percorso (aderenza e soddisfazione del paziente) in relazione a quanto presente sul piano assistenziale individuale (PAI) prescritto dal medico di fiducia, dotandosi di una piattaforma informatica integrata con tutti gli attori del sistema. Il “Gestore” che può essere il medico di famiglia o un’azienda pubblica o privata viene scelto dal paziente. La responsabilità clinica del paziente è del medico che stila il PAI. Le aziende pubbliche e private accreditate operanti in regione possono essere gestori e/o erogatori.

La medicina generale si è proposta come il setting opportuno e appropriato per l’attuazione della presa in carico, integrandosi con la medicina specialistica in un’ottica di appropriatezza, secondo linee di indirizzo condivise.

In questo momento sono circa 300.000 i pazienti inseriti in questo percorso e il 94% di questi hanno scelto il proprio medico di famiglia come gestore. Questo vuol dire che il paziente “sceglie” il proprio medico di famiglia forte della relazione che lo lega, che il medico si è reso disponibile al cambiamento e che i gestori aziendali sia pubblici che privati diversi dalla medicina generale non sono stati in grado di rispondere in modo adeguato ai percorsi di presa in carico: non hanno mai acquisito le competenze necessarie.

Invece di pensare a una “medicina di base” erogata da terze figure aziendali bisognerebbe potenziare le cure primarie con strumenti sia strutturali che funzionali investendo sul territorio, anche con il supporto dei privati, ma, per questo, ci vuole volontà politica, risorse e, soprattutto coraggio.

Twitter @gabriellaantone