Il Pil fotografa davvero il benessere? Regioni a confronto

scritto da il 22 Maggio 2020

Gli autori di questo post sono Andrea Ballabio*, economista presso REF Ricerche, laureato magistrale in Economics all’Università Cattolica di Milano, e Fabrizio Ferrari, laureato magistrale in Economics all’Università Cattolica di Milano –

Con il diffondersi dell’epidemia di COVID-19, si è riaffacciato nel dibattito pubblico il tema del contemperamento delle istanze di crescita economica—troppo spesso confusa con la cupidigia—con necessità di altra natura (ambientali, sociali, umane, ecc.). D’altra parte, questo tipo di problema non è per nulla nuovo, come dimostra la diffusione negli ultimi decenni di movimenti decrescitisti e ambientalisti (da ultimo, ricordate il “fairy tales of eternal economic growth” pronunciato da Greta Thunberg?).

Quello che però non va mai dimenticato è che il PIL (in particolare quello pro-capite) non è meramente un numero espressione dell’avidità umana, o un’ossessione fine a sé stessa degli economisti, ma un parametro che ben approssima il benessere materiale di cui gli esseri umani possono godere. Un esempio di quanto il PIL per abitante funga da proxy in tal senso è offerto da un confronto tra le regioni italiane, caratterizzate da una forte eterogeneità sia in termini di PIL pro-capite sia di qualità della vita.

Che il reddito pro-capite in Italia presenti una forte eterogeneità territoriale è un elemento appurato da tempo. Come ben evidenziato dalla Figura 1, le differenze tra Mezzogiorno e Nord-Italia sono consistenti. Escludendo dal confronto la Valle d’Aosta e la Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen, assoggettate al regime dello Statuto Speciale, agli estremi opposti si trovano—da un lato—la Lombardia (38.845 euro) e—dall’altro lato—la Calabria (16.980 euro).

Figura 1: Pil pro-capite, 2018, migliaia di euro, valori correnti.

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Fonte: ISTAT, Conti Economici Territoriali, comunicato del 28 gennaio 2020

Quindi, appurata la forte eterogeneità territoriale nella produzione del reddito, è interessante osservare se—e come—tale eterogeneità si rifletta anche nel livello e nella qualità dei servizi usufruibili dagli abitanti. In altre parole: la variabilità del PIL pro-capite tra le regioni italiane cattura la variabilità del benessere materiale dei loro abitanti? A giudicare dai dati, parrebbe proprio di sì.

Una prima conferma si evince osservando le performance dei relativi servizi sanitari regionali. Infatti, nonostante la sanità lombarda si trovi ora nell’occhio del ciclone per la gestione della pandemia di COVID-19, ciò non cancella il fatto che rimanga una delle migliori d’Italia sotto diversi aspetti. Ad esempio, in termini di emigrazione ospedaliera, i dati del 2016 (gli ultimi disponibili) mostrano l’eccellenza lombarda (Figura 2):solo il 3,1% del totale delle giornate di degenza (per periodi superiori ai 3 giorni) dei cittadini lombardi si è svolto in strutture ospedaliere situate al di fuori della regione, collocando così la Lombardia al primo posto in Italia; al contrario, per quanto riguarda la Calabria, tale dato (20,5%) è il secondo peggiore d’Italia, al pari della Basilicata e alle spalle del solo Molise (22,8%).

Figura 2: Emigrazione ospedaliera in altra regione per ricoveri ordinari acuti (superiori ai 3 giorni) sul totale delle persone ospedalizzate residenti nella regione, %, 2016.

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Fonte: ISTAT, Indicatori Territoriali per le Politiche di Sviluppo, 20 aprile 2020.

Inoltre, il PIL pro-capite è anche correlato, naturalmente, con la percentuale di abitanti in stato di “grave deprivazione materiale”; tale indicatore individua condizioni di indigenza materiale molto serie e concrete—ben distanti, quindi, dall’essere una fissazione degli economisti. Difatti, tra i criteri che ISTAT utilizza per definire lo stato di “grave deprivazione materiale” rientrano degli “agi” materiali che tutti ormai siamo abituati a considerare come scontati nel mondo avanzato—la privazione dei quali ci pare inimmaginabile. Tra i parametri considerati da ISTAT nell’individuare tale stato di “grave deprivazione materiale” rientrano, ad esempio, l’impossibilità di riscaldare adeguatamente la propria abitazione, l’impossibilità di poter consumare un pasto adeguato (con proteine animali o equivalente vegano) ogni due giorni, il non potersi permettere una lavatrice, una televisione a colori, un telefono, un’automobile, ecc.

Figura 3: Persone che vivono in famiglie in condizioni di grave deprivazione materiale, % della popolazione, 2018. La Provincia Autonoma di Trento è esclusa per assenza di dati.

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Fonte: elaborazione su dati ISTAT, Indicatori Territoriali per le Politiche di Sviluppo, 20 aprile 2020.

Come mostra la Figura 3 (ultimi dati disponibili), mentre solo il 3,1% dei residenti lombardi si trova in condizioni di “grave deprivazione materiale”, tale percentuale sale al 15,3% in Calabria. Condizioni peggiori di quelle calabresi si sono rilevate solo in Campania e Sicilia, che occupano comunque gli ultimi tre posti—insieme alla Calabria medesima—nella graduatoria del PIL pro-capite rappresentata in Figura 1.

Che dire, poi, delle opportunità che il tessuto socioeconomico regionale può offrire ad alcune delle categorie—come donne e giovani—tradizionalmente più fragili nel nostro Paese? Anche qui, si notano forti divergenze interregionali.

Da un lato, la Lombardia presenta un tasso di NEET (cioè la percentuale di popolazione tra i 15 e i 29 anni che non è né occupata né inserita in percorsi di istruzione/formazione) pari al 15,1%, che la colloca tra le migliori regioni italiane (Figura 4) in merito alle opportunità formative e occupazionali che il proprio tessuto sociale, economico e culturale può offrire ai giovani. Dall’altro lato, la Calabria occupa la penultima posizione, con una percentuale di NEET pari al 36,2%, collocandosi davanti alla sola Sicilia (38,6%).

Figura 4: percentuale di giovani tra i 15 e i 29 anni non occupati né inseriti in un percorso di istruzione/formazione, 2018.

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Fonte: ISTAT, Indicatori Territoriali per le Politiche di Sviluppo, 20 aprile 2020.

Un discorso analogo vale per la capacità del tessuto socioeconomico regionale di offrire pari opportunità ad ambo i sessi, coinvolgendo anche le donne nei processi occupazionali e favorendo così l’emancipazione femminile. Anche qui, le donne lombarde possono beneficiare di opportunità decisamente migliori: mentre la differenza tra il tasso di partecipazione maschile e femminile al mercato del lavoro (tra i 15 e i 64 anni) è pari al 15,8% in Lombardia, tale dato è pari al 25,1% in Calabria (dati del 2018). A ciò si aggiunga che, mentre in 8 comuni su 10 della Lombardia sono presenti strutture eroganti servizi per l’infanzia (asili nido, micronidi o servizi integrativi e innovativi), tale quota scende a 2 comuni su 10 in Calabria (dati del 2017).

L’analisi fin qui svolta circa la correlazione tra PIL pro-capite regionale e livello di benessere materiale—inteso in senso generale—fruibile dai cittadini si rafforza alla luce di due ulteriori elementi.

In primo luogo, il residuo fiscale regionale—anch’esso espresso in euro pro-capite—della Calabria è negativo (-5.344 euro), laddove quello della Lombardia è positivo (5.426 euro) [1]. Tale indicatore proietta su base territoriale le politiche redistributive tra individui attuate mediante il bilancio pubblico, ed è calcolato come differenza tra le entrate e la spesa primaria delle Amministrazioni Pubbliche sul territorio (al netto dei trasferimenti da e verso l’estero).

Quindi, il cittadino calabrese beneficia, in media, di un trasferimento fiscale che equivale, in sostanza, ad un incremento della sua capacità di usufruire di benessere materiale. Il contrario avviene per il cittadino medio lombardo, che vede in qualche misura ridotta—e trasferita al di fuori della regione—la sua facoltà di godimento del benessere materiale prodotto.

Senza dilungarsi in considerazioni riguardo alla misurazione dei residui fiscali e l’efficacia delle politiche redistributive interregionali, preme far notare—a suffragio della tesi circa la validità del PIL pro-capite come approssimazione del benessere materiale usufruibile—quanto segue: il già ampio divario nel benessere materiale tra lombardi e calabresi sarebbe ancora più consistente se la Calabria non beneficiasse di un trasferimento di risorse aggiuntive rispetto a quanto prodotto—e, viceversa, se la Lombardia non si vedesse “drenare” parte di queste risorse in favore di altri territori.

In secondo luogo, entrambe le Regioni esercitano il medesimo livello di potere, misurato dall’indice di autorità regionale (il cosiddetto Regional Authority Index (RAI) [2], la cui validità è riconosciuta anche dall’OCSE), sia verso chi risiede nel territorio regionale, sia sul Paese nel complesso. Lombardia e Calabria—così come tutte le altre Regioni a Statuto Ordinario (RSO)—totalizzano, infatti, uno score complessivo RAI di 18 su 30.

Le differenze di benessere evidenziate non sono, dunque, ascrivibili ad un diverso grado di potere dell’Amministrazione regionale, essendo le Regioni in questione dotate della medesima autonomia di governo. Se questa variabile può in qualche modo influire, tale effetto non rileva nel caso di Lombardia e Calabria.

Concludendo: il PIL, specialmente nella sua versione normalizzata per tener conto della demografia, ha ancora tante informazioni da trasmetterci. O, più semplicemente, non ha mai smesso di farlo—nonostante qualcuno abbia smesso di considerarlo. E se decrescita dovrà essere, sarà tutt’altro che felice.

Twitter: @a94ndrea @Fabriziofer1994

*le opinioni sono espresse a titolo personale e non coinvolgono REF Ricerche.

[1] Banca d’Italia, “Economie Regionali – L’economia delle regioni italiane. Dinamiche recenti e aspetti strutturali”, novembre 2019, pagina 90, Tavola a5.11. I dati sono una media del periodo 2015-2017. 

[2] Hooghe, L. et al. (2016), “Measuring Regional Authority: A Postfunctionalist Theory of Governance”, Oxford University Press, Oxford.