Italia penultima per laureati. Il modello economico-culturale è la Corea

scritto da il 07 Gennaio 2021

È ora di ‘farla finita’ con questa storia stupida per gonzi e nostalgici secondo la quale la cultura italiana sarebbe prima nel mondo. Non è affatto vero. Non è più così da secoli. Si tratta di una madornale castroneria e, per ciò stesso, diventa diletto e conforto per i creduloni e per gli asini. Cerchiamo di fare un passo avanti perché la consapevolezza fa bene alla salute mentale! Avere avuto Dante Alighieri e Leonardo tra ‘i nostri’ non ci assolve dalle colpe in materia di arretramento socio-culturale. Bisogna rendersi conto, senza perder tempo, che, nell’ultimo rilevamento del Programme for International Student Assessment (PISA) l’indagine condotta dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) con periodicità triennale per valutare il livello di competenze degli studenti, solo meno della metà dei partecipanti ha dimostrato di sapere risolvere problemi complessi. In lettura, in matematica e in scienze, abbiamo raggiunto livelli inferiori a quelli della media. Vogliamo continuare a raccontarci la favoletta indolore o a dire ‘quanto siamo bravi e belli’?

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Il dato della lettura e quello delle scienze sono indubbiamente i più preoccupanti. Attenzione: stiamo parlando di notizie bell’e immagazzinate, ormai ampiamente divulgate dai media! Ultimo report: 2018. Per ampliare la conoscenza del fenomeno occorre consultare gli studi fatti successivamente dallo stesso organismo internazionale e pubblicati proprio nel 2020. Se scegliamo come unità di misura il livello di istruzione degli adulti e, in particolare, l’istruzione universitaria, scopriamo che l’Italia è addirittura penultima con un misero 19,6%, battuta solo dal Messico col 18,3%. Dalla parte opposta della classifica, ai piani alti, per così dire, troviamo il brillante Canada, dove si registra un 59,4% di laureati, e l’eccellente Repubblica di Corea (Corea del Sud) col 50%.

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Il grafico è inequivocabile. Non ci si faccia trarre in inganno dal pallino blu, che ci proietterebbe in avanti rispetto ad altri paesi! Con le espressioni “below upper secondary” (pallino blu) e “upper secondary” (la x), si indicano, rispettivamente, la ‘vecchia’ terza media e le scuole superiori. In sostanza, il 37,8% degli italiani ha solo la terza media, mentre il 42,5% ha conseguito un diploma – per usare il linguaggio della tradizione. La cosiddetta verità dei fatti e dei numeri emerge sempre da una messa a sistema delle informazioni e delle analisi compiute. In altri termini: siccome il quadro è composito, scegliendo dei modelli, rilevando flussi e confrontando i soggetti, siamo sicuramente in grado di ricostruire le trame della nostra debolezza o, diversamente, della forza perduta. Adottiamo il caso della Repubblica di Corea e ragioniamo attorno a esso. I ricercatori dell’OCSE, in materia d’istruzione, hanno suddiviso la popolazione in due fasce d’età: 55-64 anni e 25-34 anni; e hanno rilevato la percentuale di laureati in entrambe le fasce.

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Il motivo di questa suddivisione sarà presto chiaro. Si è documentato che, in Corea del Sud, nella fascia 55-64, la percentuale di laureati è pari al 24,4%, mentre, nella fascia 25-34, sale vertiginosamente al 69,8%. In pratica, il rapporto è quasi di 1 a 3. Questo ci fa per lo meno ipotizzare che, nell’arco di una sola generazione, la classe politica dirigente sia stata efficiente e gl’investimenti di pertinenza siano stati fatti a dovere. Purtroppo, non possiamo fare lo stesso ragionamento per l’Italia: nella fascia 55-64, si registra il 12,8%; nella fascia 25-34, invece, il 27,7%. Una spettrale inversione si ha nel caso del Sudafrica, ultimo paese al mondo rispetto al parametro appena descritto. Nella fascia 55-64, si riscontra il 9,1%, ma si scende addirittura al 5,6% nella fascia 25-34. In quest’ultimo caso, la considerazione potrebbe essere diametralmente opposta a quella fatta per la Repubblica di Corea.

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Vien fatto di chiedersi, a questo punto, quanto abbia speso-investito il nostro paese per la formazione lato sensu. Nell’archivio dell’OCSE si trovano le risposte a tutte le nostre domande. Non si rischia d’esserne delusi. L’unico rischio è legato alla pigrizia dell’utente che voglia continuare a baloccarsi coi primati inesistenti. A ogni modo, a proposito di spesa per l’educazione, il primato spetta al Lussemburgo, con 48. 907 dollari per studente in ambito universitario e 20. 495 dollari durante l’educazione della prima infanzia. Tale indicatore, infatti, è inteso come quell’investimento per l’istruzione che copre la spesa per scuole, università e altre istituzioni educative pubbliche e private. La spesa include istruzione e servizi accessori per studenti e famiglie forniti attraverso varie istituzioni educative. L’Italia si colloca nella ventunesima posizione (su 36 paesi), investendo appena 11. 257 dollari per studente nella formazione universitaria e 6. 249 dollari per bambino. La sorpresa arriva con la Corea, ancora una volta formidabile, che, pur essendo più indietro rispetto all’Italia, consegue i risultati di cui abbiamo parlato: ventiseiesima posizione e 10.109 dollari spesi per studente universitario. Ciò costituisce una sempre più valida conferma dell’ipotesi fatta in precedenza: spende molto meno, ma ha risultati migliori. Dunque: spende molto bene. È inevitabile.

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Di primo acchito, il pensiero corre al PIL perché si è soliti calcolare gl’investimenti in istruzione e ricerca in percentuale sul PIL. Fatta eccezione per il Lussemburgo, che ha poco meno di 700.000 abitanti e un PIL di 70 miliardi, tra Italia, Canada e Repubblica di Corea, le proporzioni sono apparentemente adeguate.

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L’adeguatezza, infatti, è limitata o parziale. La Corea del Sud ha più di 51 milioni di abitanti e un PIL di 1.600 miliardi; il Canada ha circa 37 milioni di abitanti e un PIL di 1.700 miliardi; l’Italia 60 milioni di abitanti e un PIL di poco superiore ai 2.000 miliardi. In che cosa consiste la parzialità? Perché spesso PIL e PIL pro capite sono indicatori ingannevoli. Un paese, per esempio, può avere elevati livelli di ricchezza, ma, nello stesso tempo, può peccare nella distribuzione di questa ricchezza generando grande disuguaglianza. In un caso del genere, il PIL sarebbe sicuramente rassicurante, ma ingannevole. Esistono pertanto altri elementi di valutazione con cui ovviare al problema: uno di questi è l’HDI (Human Development Index) calcolato nell’ambito di un Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite e in cui si tiene conto di (1) una vita lunga e sana, (2) di un livello medio di scolarizzazione e (3) di uno standard di vita decente; un altro è il coefficiente di Gini, un valore compreso tra 0 e 1 con cui è possibile misurare i livelli di uguaglianza e disuguaglianza. Tanto più il valore è vicino allo zero, quando più correttamente sono distribuite le risorse. Nella classifica che fa riferimento al coefficiente di Gini, l’Italia è addirittura ventiseiesima sui 40 paesi del grafico.

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Anche l’HDI è basato su una stima compresa tra 0 e 1, ma la valutazione del parametro è opposta a quella del coefficiente di Gini. Mettendo ancora una volta a confronto Canada, Corea, Lussemburgo e Italia, il nostro paese è quello che ha la peggio. Il Canada, infatti, è in sedicesima posizione con lo 0,929, la Corea e il Lussemburgo sono in ventitreesima posizione con lo 0,916, mentre l’Italia in ventinovesima con lo 0,892.

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In conclusione: di quale primato culturale ci fregiamo? Madame de Staël, già all’inizio del diciannovesimo secolo, invitava i letterati italiani a leggere e tradurre le opere degli scrittori europei affinché imparassero a scrivere in maniera utile e fruibile: ce ne rendiamo conto o no? Oppure vogliamo sventolare ancora il vessillo dell’Umanesimo e del Rinascimento pensando che si possa vivere di rendita? Certo, i periodi delle Signorie e dei Principati furono aurei, per così dire, perché le corti diedero vita a una vera e propria gara nell’accaparrarsi le più alte personalità culturali del momento. Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Brunelleschi, Palladio, Ariosto, Machiavelli sono solo alcuni dei nomi legati alla grande rinascita italiana e al suo primato culturale europeo. Ma dobbiamo sempre usare il passato remoto. Galileo, pur innovando la scienza e rappresentando un fiore all’occhiello per la cultura italiana, dovette pagare il proprio tributo alla Chiesa, abiurando le proprie idee per non rimetterci la vita. Naturalmente, potremmo citare Metastasio, Alfieri, Foscolo, Manzoni, Goldoni e altri per puntellare la nostra posizione, ma non possiamo cancellare gli ultimi settant’anni di storia repubblicana.

Questo è il fallimento imperdonabile d’un’intera classe politica.

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