Altro che e-commerce. I non fungible token sono dovunque

scritto da il 16 Marzo 2021

Post di Massimo Simbula e Stefano Quintarelli, co-fondatori della Associazione Copernicani – 

Un giorno il fondatore di Twitter, Jack Dorsey, si sveglia e decide di vendere il suo primo tweet su twitter.

Nel mentre l’NBA mette all’asta i migliori momenti sportivi del campionato: tiri da tre, schiacciate, azioni da brivido.

Pure gli “hacker” corrono a vendere i loro 0-day exploits (vulnerabilità di uno specifico sistema informatico).

Tutti vendono tutto. Oggetti, quadri, ricordi, fotografie, video. Una incredibile quantità di elementi univocamente connessi ad un token crittografico non fungibile basato su blockchain.

Un mercato impensabile fino a poco tempo fa.

Ma di cosa parliamo?

Sono gli NFT, o Non Fungible Token, grazie ai quali è possibile connettere univocamente elementi digitali a prodotti digitali o fisici.

Come approfondito in “Capitalismo Immateriale” (Bollati Boringhieri) i beni materiali sono rivali. Ovvero, se godiamo di un bene, nessun altro può goderne nello stesso momento. È il concetto alla base della proprietà privata radicata nelle proprietà intrinseche della materialità, in cui i beni sono rivali ed escludibili. Conseguentemente, i beni sono portatori di diritti, immunità, facoltà e privilegi definiti e codificati in leggi che si fondano su rivalità ed escludibilità. I beni immateriali non sono rivali e la proprietà privata non esiste, viene mimata attraverso dei contratti che definiscono le licenze d’uso dei beni stessi.

O meglio, non esisteva fino all’avvento degli NFT. Grazie all’evoluzione delle tecniche crittografiche, come illustrato in un paper dell’Associazione Copernicani, è ora possibile che i dati siano rivali ed escludibili e quindi che possano essere reale proprietà privata e non solo negozio giuridico.

Tutto ciò è possibile solo in determinate circostanze e, per semplificare, dipende molto da quale blockchain viene utilizzata e quali sono i processi che consentono di garantire l’effettiva correlazione tra bene e token, senza che tale collegamento sia in qualche modo corruttibile.

Gli NFT stanno esplodendo in popolarità ma non è chiaro come tale fenomeno sia regolato, in assenza di norme che indentifichino in maniera chiara la natura di questi token.

È evidente che non stiamo parlando di criptovalute, di strumenti finanziari o delle cosiddette Initial Coin Offering (le offerte di vendita di “monete” virtuali ormai conosciute in tutto il mondo grazie alla incredibile crescita di valore di Bitcoin)

Gli operatori del settore si destreggiano tra norme e regolamenti e il panorama regolatorio e legislativo è in fermento.

Negli Stati Uniti due senatori repubblicani, Patrick McHenry e Stephen Lynch l’8 marzo, hanno pubblicato una proposta di legge volta alla creazione di un gruppo di lavoro composto da esperti della Security and Exchange Commission (SEC) e della Commodity Futures Trading Commission (CFTC), al fine di inquadrare le diverse categorie di token crittografici basati su blockhain in modo da stabilire, nel modo più certo possibile, quando la materia sia di competenza della SEC o della CFTC.

schermata-2021-03-16-alle-08-46-12

Tutto il mondo guarda all’evoluzione della normativa statunitense, particolarmente attiva sin dal 2015 con una delle prime forme di regolamentazione al mondo, la nota (e temuta) Bitlicense di New York, soprattutto in un periodo in cui la valutazione degli NFT cresce vertiginosamente, grazie anche alla promozione fatta da volti e nomi noti nel mondo dello sport, dello spettacolo, dei media.

Questi memorabilia digitali impazzano tra i collezionisti che corrono per accaparrarsi “pezzi” unici le cui valutazioni crescono giorno dopo giorno.

L’NFT connesso ad un breve video del campione dell’NBA Lebron James che schiaccia a canestro, è arrivato a valere 200.000 dollari, mentre quello connesso al primo tweet di Jack Dorsey potrebbe essere venduto all’asta per almeno 2,5 milioni di dollari (il fondatore di Twitter ha già annunciato che il ricavato verrà donato in beneficenza).

Ma questa è solo la punta dell’iceberg e in breve potremmo scoprire molte altre utilità degli NFT.

Sono infatti allo studio diversi Non Fungible Token che identificano, in maniera univoca, specifici strumenti finanziari, volti a migliorare l’efficienza delle transazioni finanziarie.

E di particolare interesse sono gli NFT connessi a proprietà immobiliari. Ad oggi siamo dipendenti da conservatorie, registri catastali e immobiliari centralizzati che generano molteplici problematiche in termini di circolazione delle informazioni connesse ad un immobile, incluso l’adeguamento di tali informazioni e la circolazione delle proprietà immobiliari stesse. Proviamo ad immaginare un mondo dove il possesso di un terreno o di una casa è legato univocamente ad un NFT. Molto probabilmente questo potrebbe impattare in maniera radicale su questi registri, sul ruolo dei notai, delle visure, del sistema di aggiornamento delle informazioni connesse alla proprietà. È quello che fa la startup californiana Fabrica.land che incapsula la proprietà di immobili in un NFT.

Trasferire il “possesso”, o meglio la titolarità di un token digitale crittografico potrebbe sembrare una eresia, ma ciò è evidentemente oggi possibile. E quali sono i rischi e le “trappole” normative che potrebbero ostacolare questo mercato?

Innanzitutto è bene precisare che l’innovazione tecnologica va a “strappi”. Cresce spesso in maniera rapida in determinati periodi storici e ciò anche grazie alla fama che certi progetti acquisiscono anche grazie alla crescita di valore che il mondo delle cripto sta attraversando in questa fase. E questi strappi e la velocità di esecuzione di certi progetti potrebbe portare a criticità tecniche relative alla univocità e alla garanzia che il token acquistato non possa essere effettivamente duplicato o duplicabile. Si tratta di un argomento non da poco ma che molte società, alcune italiane di primo livello, stanno affrontando in maniera eccellente.

Un secondo aspetto non meno importante è l’inquadramento normativo.

Ci sono aspetti legati alla tutela dei consumatori, all’anti-riciclaggio, alla vendita di prodotti o strumenti finanziari ma soprattutto al diritto d’autore e alla proprietà industriale che devono essere attentamente considerati.

Per quanto riguarda la tutela dei consumatori, va detto che molti di questi comprano NFT come se non ci fosse un domani e spesso non sono neppure consapevoli di cosa stanno acquistando, attratti esclusivamente dalla crescita di valore degli NFT e dall’”hype” del momento.

Si chiama FOMO, Fear of Missing Out o più semplicemente paura di restarne fuori, e va avanti a colpi di meme, tweet e annunci fatti da personaggi noti.

In realtà le regole in materia di tutela del consumatore esistono e sono più che efficienti, ma come si possono applicare ad un ambiente liquido e spesso incontrollabile come gli NFT?

Innanzitutto è fondamentale operare una distinzione tra ciò che è l’NFT e come l’NFT viene venduto. Se infatti un NFT è univocamente connesso ad un bene fisico o digitale specifico, esso non è altro che un titolo digitale rappresentativo del bene, ma è anche lo stesso NFT ad essere un bene, stante la sua unicità e (almeno teoricamente) non riproducibilità.

Si pone quindi un problema di primo livello: quando compro un NFT, compro un titolo rappresentativo di un bene o compro un bene? Su questo tema si stanno sviluppando diverse correnti di pensiero, e non vi è – come il sottoscritto – chi non veda una duplice funzione, sia di rappresentazione della titolarità di un bene (un immobile, un quadro, un video, un tweet, ecc.), sia un bene a se stante, diverso dal bene che sta alla base del token.

Nel momento infatti in cui l’NFT circola non per uno specifico interesse connesso al bene ma solo ed esclusivamente come investimento su cui puntare nella speranza che cresca di valore per poi rivenderlo, ecco che si potrebbe scivolare, neanche troppo lentamente, nella complessa figura del prodotto o strumento finanziario.

schermata-2021-03-16-alle-08-47-16

In realtà il “comportamento” del token sul mercato non è materia maneggiabile solo dal soggetto “emittente” il token. Se infatti possono trovare applicazione le norme in materia di prodotti e servizi finanziari allorquando l’emittente promuove il token come un bene utile per guadagnare, promettendo lauti interessi, è evidente che usciamo totalmente dal campo della normale compravendita di un prodotto.

Ma se l’emittente si limita a sviluppare NFT connessi (ad esempio) ad un momento sportivo, senza promuovere in alcun modo le opportunità di guadagno connesse ad eventuali successive quotazioni o transazioni connesse a tale NFT, a quale responsabilità andrebbe incontro lo sviluppatore dell’NFT?

Se compro le scarpe di Pelè che ha usato nella finale Italia-Brasile di Messico 1970 a 10.000€ e poi le rivendo ad un privato a 1 milione di €, posso pensare che quelle scarpe rappresentino uno strumento finanziario? A nessuno verrebbe in mente, ma quando il mercato dei potenziali acquirenti delle scarpette diventa una piazza virtuale decentralizzata dove tutti possono comprare di tutto attraverso elementi digitali rappresentativi di scarpette di grandi campioni e non solo, ecco che il regolatore si sveglia preoccupato per capire come arginare il fenomeno onde evitare danni ai consumatori, come regolarlo per tenere a bada la finanza tradizionale (e i gloriosi studi di consulenza che la supportano) e come tassare le plusvalenze derivanti dalle rivendite dei token.

Un autentico ginepraio.

Ed è per questo che si rende quantomai opportuna una azione legislativa in un quadro internazionale o almeno europeo, per favorire lo sviluppo di questa economia senza lasciare le imprese nella confusione e con la spada di Damocle di azioni legali che spesso giungono anche dopo molti anni (il caso della SEC che cita Ripple dopo 8 anni dal lancio, generando un danno di oltre 15 miliardi di dollari agli acquirenti della moneta digitale, è emblematico di come una norma chiara sul punto sia assolutamente urgente).

Altri aspetti normativi sono invece più chiari. È chiaro, infatti, almeno dal punto di vista normativo europeo e statunitense, che chi acquista criptoasset deve necessariamente identificarsi secondo le procedure previste in materia di anti-riciclaggio. Si tratta comunque di un aspetto quanto meno controverso e che potrebbe prestarsi ad abusi, ma è pur vero che dietro questo vorticoso fiume di denaro che ruota intorno agli NFT possono generarsi problematiche non indifferenti.

Da ultimo, ma non ultimo, il diritto d’autore e della proprietà industriale. Le norme sono tanto antiche quanto ancora valide e il legislatore di un tempo ha dimostrato grande saggezza nello scrivere in maniera semplice ed evolutiva le norme a tutela dei diritti di artisti, creativi, loghi o delle immagini di volti e persone. Lo sfruttamento commerciale di questi diritti, infatti, è sempre soggetto a specifici accordi contrattuali da definire con i titolari dei diritti e questo mercato potrebbe rivelarsi una straordinaria opportunità per gli artisti noti e meno noti per monetizzare su una loro opera guadagnando non solo dalla prima vendita ma anche dalle successive, grazie ai sistemi di tracciabilità garantiti dalla blockchain.

Il mondo degli NFT non può e non deve essere fermato poiché sta generando un mercato dirompente basato su paradigmi del tutto nuovi e che potrebbe rivoluzionare il modo in cui concepiamo la proprietà, il possesso e la circolazione dei beni, offrendo al mondo un nuovo modo di fare e-commerce.

Vogliamo provarci a regolamentarlo correttamente contemperando la sacrosanta (e costituzionalmente garantita) libertà di impresa e i diritti dei consumatori?