Idrogeno: perché può essere il combustibile del futuro. O forse no

scritto da il 22 Maggio 2021
L’idrogeno è la sostanza più abbondante del pianeta, arrivando a formare il 75% della materia in base alla massa e più del 90% in base al numero di atomi. È, come noto, il primo elemento della tavola periodica, e perciò anche l’atomo più elementare (composto da un protone che costituisce il nucleo e un elettrone). In natura, lo si trova nell’acqua (due atomi di idrogeno e uno di ossigeno), nella materia organica, nei combustibili fossili e nel gas naturale. Difatti, sulla Terra l’idrogeno non si trova mai allo stato puro, ma soltanto nelle molecole, combinato con altri elementi chimici.

L’idrogeno, se prodotto a partire da una fonte di energia pulita, è un vettore energetico a zero emissioni. Attualmente è impiegato in più settori, dall’alimentare, al chimico e petrolchimico, al tessile, fino al metallurgico e all’aerospaziale.

I “colori” dell’idrogeno

No, l’idrogeno non ha colori. Tuttavia, in gergo scientifico si usa differenziarlo in quattro colorazioni principali, ognuna delle quali rappresenta specifiche caratteristiche.

In primo luogo, l’idrogeno grigio, ricavato dal gas naturale o dalla massificazione del carbone. Da qui, il colore grigio, poiché ricavato attraverso un processo inquinante e contaminante. Segue l’idrogeno blu, derivante da un trattamento simile all’idrogeno grigio, ma senza esalazioni nocive, attuando una de-carbonizzazione del 90%. L’idrogeno verde, generato attraverso elettrolisi ad alta temperatura, risulta essere il più pulito, in quanto totalmente de-carbonizzato. Infine, l’idrogeno viola, anch’esso 100% de-carbonizzato e estratto dall’acqua attraverso l’impiego di corrente fornita da una centrale nucleare (zero emissione CO2).

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Pro: opportunità

Come si è detto, l’idrogeno può essere un vettore energetico a zero emissioni. Dalla sua combustione, infatti, si genera vapore acqueo. Inoltre, può essere conservato e trasportato con relativa facilità, quindi di base si potrebbe distribuire abbastanza agevolmente su vasta scala (ma al momento la questione è dibattuta).

Contro: costi

Non è tutto oro ciò che luccica. Non dimentichiamo che l’idrogeno in natura non si trova allo stato atomico e, pertanto, deve essere prodotto. Ciò comporta dei costi notevoli che poche realtà aziendali possono effettivamente permettersi. Ragionando su un’implementazione a livello nazionale, l’operazione potrebbe costare, nella migliore delle ipotesi, decine di miliardi di euro. Ancora, un motore a celle costa attualmente dieci volte un motore tradizionale e di recente la soluzione è stata bocciata dal ceo di Volkswagen Group, Herbert Diess, anche se altre case automobilistiche, come Toyota o la coreana Hyundai ci credono di più. Va anche detto che la produzione risulta a zero emissioni solamente nel caso in cui ci si basi su fonti di energia pulita, come nel caso di energia eolica, idroelettrica e solare. Infine, non va dimenticato che l’idrogeno è un gas altamente infiammabile, quindi potenzialmente molto pericoloso se stoccato in grandi quantità al chiuso.

Le aziende leader

Ad oggi, diverse sono le imprese all’avanguardia, la cui tecnologia era rimasta per decenni nel dimenticatoio. Ciò che al momento appare chiaro è che la “questione idrogeno” potrebbe condizionare notevolmente il mercato finanziario nei prossimi anni. Lo dimostra Plug Power, società americana impegnata nello sviluppo di sistemi di celle a idrogeno (HFC) ad alta efficienza e basse emissioni. L’impresa, quotata al Nasdaq, ha una capitalizzazione azionaria (market cap) di oltre 15 miliardi di dollari. Plug Power è altresì nota poiché le sue azioni rispetto ad un anno fa valgono il 588% in più ma a fine gennaio hanno toccato un top nel corso dell’anno di oltre il 1.600%.

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Tra le quotate al Nasdaq si ricordano anche Ballard Power Systems (4,8 miliardi di market cap – top +278%) e FuelCell Energy (2,8 miliardi – top +1.188%). Quotata nella “Big Board”, invece, Bloom Energy (3,8 miliardi – top +419,8%).

L’idrogeno parrebbe essere una grande opportunità, non solo a livello ambientale, ma anche, per alcuni versi, sul piano economico-finanziario. Tuttavia, l’ingente spesa stimabile su più fronti da sempre frena l’ascesa di questa specifica rivoluzione verde.

Nonostante ciò, una svolta potrebbe verificarsi nei prossimi anni. Infatti, l’Unione Europea aspira a essere il primo continente al mondo a emissioni zero entro il 2050. Un primo segnale di ciò è stato dimostrato con lo stanziamento dei 17,5 miliardi del Next Generation EU per l’implementazione delle risorse naturali e ambientali. Chissà se arriverà mai il momento di attuare realmente un cambiamento così importante.

 

Asya Peruzzo