Nazione e basta. Il governo Meloni e le radici di una strategia comunicativa

scritto da il 23 Gennaio 2023

Premessa lessicale: nazione (1)

“Gruppo umano di presunta origine  comune  ed effettivamente caratterizzato dalla comunanza di lingua,    di    costumi    e    di istituzioni    sociali    ed    eventualmente    (ma  non necessariamente)    unificato    o    consociato    (più    o meno   strettamente   e   stabilmente)   in   forma   politica  o    prepolitica;    comunità    umana    etnico-linguistica” (GDLI)

 

Premessa neurobiologica: nazione (2)

“In risposta agli stimoli che provengono dall’ambiente il cervello può attivare una serie di circuiti, dando luogo ad una serie di pattern di eccitazione anatomicamente e cronologicamente correlati, che vengono registrati, immagazzinati e successivamente ‘richiamati’ sulla base di un semplice assioma, originariamente enunciato da Donald Hebb: neuroni che vengono eccitati contemporaneamente una prima volta tenderanno ad essere attivati insieme anche in seguito” (SIEGEl, D. J., 1999, The developing mind, trad. it. di L. Madeddu, 2001, La mente relazionale Neurobiologia dell’esperienza interpersonale, ed. Raffaello Cortina, Milano, p. 26).

 

Premessa psicolinguistica: nazione (3)

La prima volta, in realtà, non ci si rende conto di ciò che accade: talora, non siamo neppure in grado di riconoscere il fatto stesso, che, semplicemente, non esiste, anche se, naturalmente, non esiste per noi, che ne siamo i destinatari. Qualunque cosa sia, agisce a lento rilascio.

La seconda volta, ci sembra di cogliere qualcosa di familiare, qualcosa che tentiamo di capire, ma che, distrattamente, abbandoniamo anzitempo. La terza volta è decisiva; è ormai troppo tardi per prepararsi al fenomeno; vorremmo, forse, analizzarlo, ma fa già parte di noi, a tal punto che occorrerebbe una sorta di autoanalisi, dovremmo separarci, almeno per un po’, dal nostro modo di essere, di parlare, di stare con gli altri.

Eppure – qualcuno potrebbe obiettare – si tratta di una parola, di un sostantivo elementare. Com’è possibile che, in pochi mesi, sia diventato così determinante? Tutti ne parlano, i giornalisti s’impegnano a spiegarne il significato, gli analisti fanno sentire la propria voce.

Alcuni di loro s’azzardano a profetizzare il ritorno d’un regime; probabilmente sono stati più negligenti di tanti altri e, adesso, nel tentativo di compensare la propria leggerezza, fanno un po’ di rumore.

Il meccanismo, di fatto, è molto più naturale di quanto si pensi ed è espresso limpidamente dall’assioma di Donald Hebb: ripetere, ripetere e, ancora, ripetere; farlo fino a creare strutture cerebrali ‘inviolabili’.

Il fatto: dal paese alla nazione (4)

Nel caso in specie, i fenomeni che hanno caratterizzato la scelta linguistico-strategica del Governo e, prima ancora, di Fratelli d’Italia, sono quelli della sostituzione e della ripetizione: nazione, non più paese, né, tanto meno, popolo o chissà quale altro sinonimo, è il termine che domina la scena. E si fa presto ad agire, con estrema cura e nel quadro d’una scrupolosa strategia comunicativa. Il governo Meloni ottiene la fiducia della Camera il 25 ottobre 2022, il giorno successivo quella del Senato. Due giorni prima, però, sul profilo Twitter di Fratelli d’Italia compare un manifesto celebrativo in cui si dichiara che “Giorgia Meloni è ufficialmente alla guida della Nazione”.

nazione

 

Il 25 ottobre, cioè solamente due giorni dopo, la formula è già imperativo-esortativa. Gli utenti sono chiamati immediatamente all’azione.

In origine: sul nascere della nazione (5)

In entrambi i casi, com’è facile notare, l’iniziale del termine nazione è scritta con la lettera maiuscola. Il processo avviato è inequivocabile. Nazione si origina da un prestito genuinamente latino, nātĭo, sostantivo femminile della terza declinazione che significa nascita, razza, stirpe et similia.

Ciò da cui il sostantivo s’è formato, non a caso, è l’infinito del verbo deponente nāsci, nascere, per l’appunto, strutturato sulla radice indoeuropea ĝen-, ĝenǝ-, ĝnē-, ĝnō-, partorire, generare, creare. Il meccanismo fonematico-morfologico da tenere in considerazione per comprendere il passaggio dalla radice al verbo è il seguente: il grado ridotto della radice, gṇ-, unito al suffisso skṓ-, sarebbe stato illeggibile; di conseguenza, la /n/ si è sonantizzata in -na-, mentre la /g/ (gutturale) è caduta.

In greco, la stessa radice ha dato vita a γίγνομαι (ghìgnomai, nascere, essere prodotto). È bene precisare che, in latino, esistono altri significati, quali sono, per esempio, popolo, classe, categoria. Tuttavia, il significato letterale resta quello di “nascita” e, di conseguenza, dal verbo nascor, come s’è detto, “luogo in cui si nasce”.

“Duo fuerunt Ariovisti uxores, una Sueba natione (…) altera Norica [Due furono le mogli di Ariovisto, una di stirpe (nascita) sueba, […] l’altra norica (CESARE, De bello gallico, I, 53, 4, trad. nostra, in Opere, a cura di R. Ciaffi e L. Griffa, 1973, UTET, Torino, p. 100)]”

 

“E in quegli tempi, erano venuti alla Pasqua in Gierusalem Giudei, uomeni religiosi di diverse lingue, e quasi d’ogni nazione ch’è sotto al cielo, cioè ch’eran nati per diverse parte del mondo” (CAVALCA, D., Volgarizzamento degli Atti degli apostoli, III, edizione critica a cura di F. Nesti, Accademia della Crusca, Tipografia Pezzati, Firenze, pp. 20-21).

Dunque, il substrato semantico che sottende la scelta e l’uso è quello degli individui uniti da legami etnici e culturali fin dalla nascita. D’altronde, Fratelli d’Italia non ha mai fatto mistero della propria predilezione per lo ius sanguinis in netta opposizione allo ius soli: sotto questo punto di vista, il loro sistema linguistico è indubbiamente coerente.

Che sia nostalgico o meno, come molti osservano, poco importa. In altri termini, non è un indicatore di pericolo, sebbene alcuni esponenti del Governo, talora, si mostrino, per l’appunto, nostalgici; e non è neppure un elemento ossessivo, come altri affermano. Questa lingua è prettamente ideologica. Può essere gradita o meno, la si giudichi pure inelegante o irrispettosa, ma non la si fraintenda a scopo d’anticonformismo modaiolo.

“Amici, romani, concittadini”: il punto di rottura di nazione (6)

L’oratore o il redattore che usa nazione designa una classe di appartenenza e lo fa in nome della solennità della patria e dei suoi confini nazionali. In sostanza, l’abilità di ‘questo’ comunicatore consiste nel ricorso vincente e seducente a un’attribuzione che nessuno può negare.

Potremmo, di certo, paragonarlo al diabolico Marco Antonio shakespereano, che arringa la folla con “amici, romani, concittadini” e, in ciò stesso, si fa persuasore occulto, ma non possiamo snaturarlo e privarlo dei meriti comunicativi che gli spettano. Al momento, tra le altre cose, non è dato sapere dove ci condurrà. Noi abbiamo il dovere dell’obiettività epistemologica, dobbiamo, altresì, descrivere il più correttamente possibile un fenomeno linguistico e, semmai, motivarne la scelta.

A tal proposito, ciò su cui è necessario richiamare l’attenzione è la peculiarità semantica dell’uso di nazione, costituita da un punto di rottura imprevedibile: lettori e ascoltatori sono stati sottratti al codice di comunione, privati dell’habitus linguistico comune, in funzione del quale erano soliti dire o sentivano dire paese, e sono stati rieducati lentamente e dolcemente, senz’accorgersene, a una forma appartenente a un patrimonio atavico: è stata sollecitata la memoria archetipica della lingua.

Tra le altre cose, l’intelligenza retorica è considerevole, giacché nazione mantiene sempre una preziosa e irrisolvibile ambiguità, di cui il comunicatore meloniano non può essere inconsapevole. Nazione è presente negli artt. 9, 16, 49, 87, 98, 120 della Costituzione, pur essendo sinonimo di popolo. In nessun caso, il comunicatore meloniano ne specifica o amplia il significato, così da restare abilmente sul confine. E non si può negare, nello stesso tempo, il valore che il principio di nazionalità assunse tra la fine del XVIII e tutto il XIX secolo quale autodeterminazione dei popoli all’interno dei propri confini. Di conseguenza, non è difficile intuire la sagacia con cui questa scelta, che, comunque, non è l’unica in materia di linguaggio, è stata fatta. In poche parole, il contestatore può opporsi, ma fino a un certo punto e correndo parecchi rischi.

Altre opportunità per nazione (7)

Non è difficile, come si può notare, rilevare le occorrenze necessarie a che si dimostri limpidamente quanto abbiamo sostenuto finora, benché sia evidente che l’articolazione di sintagmi e proposizioni è talmente ricca che, indubbiamente, se ne potrebbe ricavare anche uno studio sulle funzioni del linguaggio e sulle figure retoriche adottate più o meno consapevolmente.

Per esempio, potremmo approfondire la questione attraverso l’anafora, l’anadiplosi o l’epanalessi, tutte figure in cui la ripetizione ora di un termine ora di un segmento della frase è decisiva per l’effetto che il discorso ha sul ricevente. Altro tema interessante potrebbe essere quello della natura perlocutoria degli atti linguistici, con cui si è soliti indicare l’effetto dell’atto, ancora una volta, sul ricevente. Tuttavia, dobbiamo tentare di far tesoro dello spazio necessario a rendere un articolo godibile, senz’appesantirne l’interpretazione.

Qualora il lettore volesse saperne di più, lo scrivente sicuramente non esiterebbe a dare il proprio contributo. Per il momento, può risultare gradevole congedarsi con una bella suggestione tratta dalla semiotica di Umberto Eco. Forse, non è d’immediata fruizione, ma può rivelarsi stimolante.

“Nello schema del cane o dell’albero entrano in gioco idee “prototipiche”, come se per l’ostensione di un cane (o dell’immagine di un singolo cane) si potessero rappresentare tutti i cani. Tuttavia rimarrebbe da decidere come questa immagine, che deve mediare tra il molteplice dell’intuizione e il concetto, non possa già essere intessuta di concetti – per essere l’immagine di un cane in generale e non di quel cane. E, ancora una volta, quale “esempio” di cane medierebbe tra intuizione e concetto, visto che per i concetti empirici pare proprio che lo schema venga a coincidere proprio con la possibilità di figurare un concetto generico” (Eco, U., 1997, Kant e l’ornitorinco, Edizione Bompiani, Milano, p. 77).

 

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Per approfondire la questione della lingua dell’economia leggi “Le parole dell’economia Viaggio etimologico nel lessico economico”

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