Gli hub del gas europeo, ecco l’altra guerra già in corso

scritto da il 20 Febbraio 2023

Alcune settimane orsono la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha fatto un gran tour in nord Africa, accompagnata dall’ad di Eni. Obbiettivo manifestato al popolo italiano era rilanciare il tema dell’indipendenza energetica dalla Russia. In effetti l’Italia ed Europa, grazie all’attuale guerra economica contro la Russia, hanno l’opportunità di valorizzare preesistenti relazioni con stati democratici i cui leader politici, diversamente da Putin, rispettano i diritti umani: Algeria, Marocco, Libia, Egitto e Qatar.

Il 22 febbraio 2022 la Russia era il principale fornitore energetico dell’UE, con un costo del gas molto economico, se paragonato ai prezzi attuali. Erano tre le condutture che portavano il metano in UE: tramite l’Ucraina (una delle ragioni scatenanti della crisi), tramite la Bielorussia alleata di Putin e tramite il gasdotto Nord Stream 1, ora disattivo dopo il sabotaggio d’ignoti.

Passati i primi mesi di shock energetico, cagionato in buona parte dalla selvaggia speculazione finanziaria occidentale-olandese, ora differenti paesi europei e mediterranei vogliono divenire hub del gas per l’Unione.

Il prezzo elevato del gas ha reso più “abbordabile” sia il gas di scisto (shale gas) americano che il trasporto di gas liquefatto tramite navi da Qatar e altri attori non mediterranei.

L’UE ambisce a divenire sostenibile entro il 2050. Tuttavia il metano resterà nella bilancia energetica di aziende, stati e privati per decenni.

Sono principalmente 4 le nazioni che si candidano a divenire hub del gas: Italia, Polonia, Turchia, Germania. Storia, relazioni internazionali, vecchi rancori e nuove ambizioni extra nazionali connotano queste nazioni e le loro ambizioni geopolitiche.

Vediamole in dettaglio.

Gas, Mare Ottomanum o Mare Nostrum?

Nel mediterraneo sono due le nazioni che vogliono accreditarsi come hub: Italia e Turchia. Entrambe hanno siti di energie fossili (gas e olio), sfruttati, relativamente modesti (specie se paragonati con il Qatar o l’Iran). Di recente le aziende energetiche nazionali han scoperto nuovi giacimenti ma ci vorrà tempo per metterli in linea.

Sono entrambe nazioni che hanno fatto della “processazione” il cuore pulsante dell’attività economica, a cui si associano bellezze naturali come il turismo e lo stile di vita (con velo o meno).

Sono stati entrambi nocchieri e fondatori di due grandi imperi, oggi decaduti. In passato possedevano due sfere di influenza che si sono violentemente scontrate: dalla presa di Costantinopoli da parte di Mehmed II sino alla sconfitta di Suleiman I a Malta, evento che decretò la fine dell’espansione ottomana nel mar Mediterraneo.

La Turchia di oggi è uno scampolo dell’antico impero ottomano ma, il suo leader democratico non fa segreto di voler ricostruire l’area d’influenza ottomana. La nuova arma neo-ottomana è l’economia: ai giorni d’oggi pensare di invadere uno o più paesi islamici rendendoli satrapi è ovviamente illogico.

L’equilibrismo della Turchia

Negli ultimi anni la Turchia è stato un paese sempre in bilico: membro della Nato di cui ha bombardato gli alleati (i curdi), durante la guerra civile siriana (Isis, Al-Qaeda etc). I suoi cittadini contrabbandavano petrolio con i terroristi dell’Isis. Pur nella Nato ha sviluppato relazioni energetiche con la Russia.

Nell’ultimo anno si è promossa più volte come mediatore di pace.

Per tutte queste buone azioni il destino, e Putin, sembrano voler premiare Ankara con un nuovo gasdotto. Erdogan ha apprezzato le dichiarazioni di Putin. Il progetto per un hub del gas, come dichiarato dal ministro dell’energia turco Dönmez, è allo studio e sarà annunciato quest’anno. Sulla carta tutto bene, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, letteralmente.

Prima di tutto ci vorranno almeno 3-4 anni perché il progetto sia realizzato, e in 3-4 anni molti equilibri potrebbero cambiare, di nuovo. In secondo luogo un hub turco che smista gas in maggioranza russo sarebbe ne più ne meno un riciclo di energie fossili russe. Un gioco che necessita un elevato livello di creatività: un gioco che fa il Regno Unito, che compra derivati fossili russi via India, ma la Turchia non ha la stessa creatività finanziaria ed etica, degli inglesi. Resta quindi da capire se alla Turchia, membro Nato, verrà permesso di creare questo Hub; dopo tutto le condutture di gas possono sempre esplodere, per incidenti.

La strategia dell’Italia

L’Italia è il secondo candidato: è un naturale snodo commerciale e logistico. Sono 3 le condutture sottomarine di gas che raggiungono il sud Italia: il metano proviene da Azerbaijan, Libia e Algeria. La costruzione d’impianti di rigassificazione potrebbe ulteriormente aumentare la capacità di gestione italiana. Con fornitori quali Egitto, Qatar e Israele.

Nel 2022 è stato un continuo stringere mani con leader di altrettanti paesi democratici e rispettosi dei diritti civili: Qatar, Mozambico e di recente Algeria. Dal nord Africa, via TransMed, si prevede di aumentare il volume di gas sino a 30bn/cm. L’italia, via Eni, ha uno storico rapporto con le nazioni democratiche del nord Africa. Fu Enrico Mattei a supportare le ambizioni indipendentiste algerine , quando lo stato nord africano era una colonia francese. Un anno dopo l’indipendenza dell’Algeria Enrico Mattei ebbe un incidente: il suo aereo esplose in volo. Sono in molti a suggerire che i colossi americani fossero scontenti dell’agire dell’allora AD di Eni. È tuttavia improbabile pensare che le compagnie petrolifere americane possano essere in grado d’influenzare la politica americana estera, financo a spingere i suoi servizi segreti a uccidere il Ceo di una azienda italiana, alleata allora, come oggi, degli Usa.

Il gas dall’Italia al Nord Europa

Il gas per il nord Europa potrebbe arrivare da noi, immagazzinato nei depositi della Val Padana e poi smistato ai clienti Mittel-europei. Una maggior attività e acquisti di gas dalla Libia potrebbe anche beneficiare questo sfortunato stato che, un tempo alleato dell’Italia, è stato poi oggetto di contesa tra Francia Italia. Alcuni suggeriscono che la posizione francese in Libia avesse genesi nel desiderio della Total di prendersi i depositi libici sottraendoli all’Eni. Ovviamente risulta impensabile che aziende di nazioni democratiche, tra loro alleate, possano agire in modo cosi spietato e cinico, influenzando la politica estera dei propri governi.

Il “piano Mattei” è progetto perfetto, sulla carta è. Si aggiunga che, in Algeria, in un modo che riecheggia le azioni di Mattei, la nostra primo ministro sembra essersi assicurata anche nuovi contratti per forniture di armamenti italiani. Una soluzione che ricorda molto le relazioni Usa-Saudi Arabia: dove la prima compra il petrolio e la seconda compra armi con i soldi del cliente per “assicurarsi” la sua esistenza. C’è da ricordare, tuttavia, che l’Italia non può offrire le stesse “coperture assicurative” degli Usa; la Libia ha testato di persona la protezione e amicizia italica.

C’è da considerare, inoltre, che la stabilità politica delle nazioni nord africane e medio orientali è un’incognita. Pur considerando questi stati come democratici ed alleati… i recenti fatti del Qatar Gate (in merito a Marocco e Qatar), e le rimostranze (alcuni suggeriscono minacce) del Qatar di tagliarci il gas, gettano ombre sull’affidabilità di questi stati.

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(marketlan – stock.adobe.com)

La corsa per il gas di Germania e Polonia

La battaglia dello Jutland fu il più grande scontro navale della prima guerra mondiale. Nel mare del Nord si fronteggiarono la storica flotta britannica e l’emergente potenza navale del Kaiser. Vinsero entrambe, oppure nessuna delle due, dipende da quale propaganda dell’epoca si vuole ascoltare.

Quel che apparve chiaro al Commonwealth britannico, fu che gli oceani avevano un nuovo giocatore: l’impero tedesco e la sua piccola ma potente flotta. Oggi nello stesso tratto di mare si fronteggiano, economicamente, due nazioni: la grande Germania e l’emergente Polonia.

Entrambi ambiscono a divenire hub del gas. La Germania deve riposizionarsi e punta al gas liquefatto (LNG), orfana del Nord Stream 1 e del mai nato NS2.

La Polonia scommette sul nuovo gasdotto Baltic Pipe e il LNG da Usa e altre fonti.

Partiamo dalla Polonia: una delle nazioni più popolose d’Europa. Per anni utilizzata come bacino di manodopera a basso costo, ora vuole guadagnarsi un posto di pari, tra le grandi economie europee manufatturiere,come Italia e Germania. Al pari della Germania ha ricchi giacimenti di politicamente scorretto carbone. Si rammenti che Russia e Polonia han conti da risolvere che risalgono al medioevo. Tuttavia, anche in tempi recenti, l’ambizione del governo polacco è di vendicarsi della Russia: dal patto Molotov–Ribbentrop sino al trattamendo durante l’Unione sovietica.

In effetti tutti gli stati parte della ex-Unione sovietica occidentale (Polonia, Baltici, Romania, Ucraina etc..) son un poco astiosi nei confronti della Russia. Tra tutti la Polonia è la più irrequieta. Di recente, con l’esplosione del Nord Stream 1, l’ex ministro degli esteri ha postato un tweet in cui ringraziava gli Stati Uniti.

La Polonia, con il suo rancore per la Russia, sarebbe un’ottima alleata locale per gli Usa, sulla falsa riga del Giappone in Asia e il Regno Unito in Europa. La logistica del porto di Gdansk è in continua evoluzione e potrebbe diverire il centro nevralgico del Lng di importazione. Tuttavia il gas a stelle e strisce potrebbe aver i giorni contati (ne parlo sotto).

Gli Usa vogliono la deindustrializzazione dell’Europa?

La Germania è l’ultimo dei potenziali “grandi hub” del gas. Pre guerra era legata mani e piedi a Putin, tanto che il suo ex cancelliere era stato eletto nel consiglio di amministrazione di Gazprom, l’azienda del gas russo.

Dopo la sfortunata esplosione dei gasdotti, oggi la Germania è un gigante dai piedi di argilla. Le sue aziende stanno guardando con crescente interesse l’ecosistema energetico economico americano. Addirittura Politico, una testata di solito molto moderata, è arrivata a suggerire che gli Usa abbiano in obbiettivo, con i nuovi piani industriali, di voler deindustrializzare l’Europa, e in particolare la Germania.

Tuttavia la Germania non è pronta a cedere il passo. Dopo aver plasmato se stessa in una nazione industriale votata all’export (in modo spropositato), depauperando i suoi cittadini con stipendi da fame, ora deve creare un nuovo equilibrio energetico a suo vantaggio. Fallire sarebbe una tragedia sociale per questo stato.

Di recente è stato annunciato dal ministro dell’economia tedesco che entro il 2026 verranno installati soluzioni di valorizzazione di Lng per un totale di 56 miliardi di metri cubi (Bcm). Entro il 2030 la capacità sarà ulteriormente aumentata a 77 Bcm. Tuttavia lo stesso ministero ha ammesso che ci vorranno anni prima che la Germania possa affrancarsi dal gas russo. Il gas liquefatto, data la sua mobilità via nave permette di avere un mercato più fluido, una contrattualistica basata sia su contratti lunghi che spot.

Resta da comprendere se il Lng potrà fluire in Germania. L’epoca del gas economico è finito, un epoca su cui la Germania ha fondato la sua prosperità post unificazione. Resta da comprendere se la visione della Pax Americana include una Germania ora “disgiunta” dalla Russia. La necessità di tenere Germania e Russia lontane è già stato discusso in passato ma, ancora oggi, gli Usa temono la capacità industriale della Germania.

Freedom gas e Cina

Tutta questa competizione per divenire hub del gas europeo si basa su un assunto ad oggi poco discusso: che il gas americano (ribattezzato freedom gas da Trump) continui a fluire prima di tutto in Usa e poi in Europa. È un assunto che pare avere le ore contate. Pochi giorni fa il Financial Times ha titolato “.La fine della rivoluzione del gas di scisto americana cosa significa veramente per il mondo”. L’era Obama (il grande presidente ecologista e miglior alleato dell’inquinante pratica del fracking di gas e petrolio di scisto) è stata connotata dalla quasi totale indipendenza energetica americana. Una posizione che ha permesso agli Usa di gestire la loro politica estera in modo più distaccato, senza la necessità di andare a cercare il petrolio e il gas degli altri.

Ora però il miracolo delle shale gas e shale oil, come spiega il FT, sta finendo. Il gas oggi è costoso ma, se gli Usa dovessero iniziare ad importarlo per supportare la propria economica, esiste il plausibile rischio che i prezzi del gas tornino a lievitare. A questo si aggiunga che la Cina, grazie all’assedio economico alla Russia, può beneficiare di un costo-gas piuttosto ridotto, a tutto beneficio della sua industria che, sempre di più, vuole orientarsi ad una produzione di qualità, per fornire merci a tutti i paesi del “sud del mondo”. Chiunque riuscirà ad affermarsi come leader (o co-leader) del mercato del gas europeo potrà cambiare radicalmente l’equilibrio del potere in Europa… Se gli sarà permesso.

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