Tutto il potere ai ricercatori (per una nuova cultura del dato)

scritto da il 11 Agosto 2018

 

Stiamo vivendo tempi in cui si devono affrontare sfide sempre più difficili: dal riscaldamento globale alla gestione dei flussi migratori, fino ad arrivare alla necessità di preservare l’occupazione in un’epoca nella quale l’automazione e l’intelligenza artificiale la fanno (e faranno sempre di più) da padrone. Tutte problematiche che pretendono -come è giusto che sia- una approfondita conoscenza tecnica del problema, eppure mai come in questo periodo si tende a dare risposte semplicistiche se non del tutto prive di fondamento o persino pericolose (se pensiamo alla tematica dei vaccini). A dire il vero la realtà è ancora peggiore: si tende a negare il dato, il fatto incontestabile che dovrebbe essere riconosciuto come tale, da tutte le parti politiche per poi poter avere -giustamente- opinioni e strategie diverse a seconda dell’orientamento politico.

Pensandoci bene, la nostra civiltà si è così evoluta, in tutti i campi, dalla medicina alle grandi scoperte astrofisiche, senza dimenticare la rivoluzione nel campo digitale, grazie al “metodo scientifico” che ci ha lasciato in dono il nostro Galileo Galilei. In questo post mi chiedo: non farebbe bene anche alla politica questo approccio scientifico al problema? E visto che ci sono, vado oltre: se ci mettessimo direttamente i ricercatori in parlamento e al governo, non ne beneficeremmo tutti quanti di questo loro modus operandi?

 

Come funziona la ricerca scientifica

Avete mai partecipato ad un congresso di ricercatori? Un professore del policlinico Umberto Primo di Roma, mi avvisò: “stai per assistere ad un confronto tra ricercatori, qui se uno non è capace di difendere le proprie posizioni, viene massacrato, non c’è pietà, non si fanno prigionieri”. La cultura dei ricercatori è questa qui: si studia la letteratura esistente, si fanno ipotesi, si sperimenta un procedimento per validarle, si tracciano delle possibili conclusioni. Ovviamente anche le ricerche scientifiche possono condurre a risultati errati perché l’errore fa parte dell’equazione, anzi stando a Popper, una ricerca è tanto più scientifica quanto è più “falsificabile” (confutabile).

 

La disciplina della ricerca: l’importanza dei fatti

Per i ricercatori, le regole del gioco sono semplici: il dato, prima di tutto, deve essere oggettivo, misurabile e non facilmente mistificabile. Ad esempio, nel campo della ricerca medica, se una sperimentazione non viene eseguita con un campione sufficientemente rappresentativo e con un gruppo di controllo in doppio cieco, non viene neanche presa in considerazione. Dobbiamo necessariamente ripartire dal dato, dai fatti. Senza i fatti, non c’è possibilità di collaborazione, ci ricorda Obama durante un suo famoso discorso: “se io dico Podio e tu mi dici che è un elefante la cooperazione tra di noi diventa un po’ più difficile”.

 

L’importanza dell’autorevolezza nella ricerca

Nella ricerca se non pubblichi nulla non sei nessuno, ma non sei nessuno neanche se pubblichi cose che poi non vengono citate negli studi degli altri: il risultato finale di una ricerca deve abilitare la partenza di altre, altrimenti significa che non hai dato nessun contributo alla scienza, ma sei stato solo autoreferenziale. Nel DNA della ricerca scientifica vi è cablato il valore della comunità, si fa leva cioè sull’intelligenza connettiva, ben descritta dal sociologo filosofo De Kerckhove: da soli non si può raggiungere nessun obiettivo importante, tutto deve essere organizzato affinché le intelligenze si moltiplichino tra di loro (e non si sommino banalmente). Interessante notare come Google abbia fatto la sua fortuna iniziale applicando al suo motore di ricerca lo stesso identico algoritmo di ranking pensato per gli studi scientifici, ovvero privilegiando i siti che hanno più links (citazioni) esterni verso di loro, e di questi quelli più autorevoli.

E se anche la politica beneficiasse di questo approccio accademico per tentare di risolvere i  grandi e piccoli problemi che attanagliano la nostra attuale civiltà?

 

Il valore della ricerca nella politica: Max Weber Vs Monty Python

Il sociologo tedesco Max Weber ci ricorda, giustamente, che la politica e l’accademia hanno due scopi diametralmente opposti: la prima ha il dovere di semplificare dando delle risposte concrete, la seconda di aumentare la complessità con nuove domande. La prima ha la necessità di combattere per ottenere il consenso, la seconda di cooperare per raggiungere la verità. Insomma, il rischio che una politica guidata dai ricercatori finisca come nella celebre partita di calcio tra i filosofi tedeschi e quelli greci, ideata dai geniali Monty Python, è reale:

 

Devo essere sincero. Non ricordavo il finale di questa esilarante partita, ma in realtà, per una simpatica coincidenza volevo arrivare, con questo post, alla stessa loro conclusione quando fanno venire ad Archimede l’idea geniale (eureka!) di calciare il pallone fino a fare goal. Secondo me, infatti, ma questo lo vedremo dopo, anche l’accademico può essere concreto ed efficace come e più del politico.

Ora, intendiamoci. Non mi permetterei mai di mettere sullo stesso piano il fautore della sociologia moderna, Max Weber, con il celebre gruppo comico britannico, ma è indubbio che la ricerca scientifica abiliti anche l’innovazione, l’intuizione geniale e “fuori dalla scatola”, non fosse altro per la serendipity, il dono che è concesso esclusivamente ai ricercatori (ovvero la fortuna di arrivare a delle scoperte inaspettate, mentre si cerca altro, come è successo a Cristoforo Colombo che ha scoperto l’America mentre cercava l’India).

 

La politica non riconosce i dati

Dal punto di vista politico viviamo in un’epoca nella quale i dati, le informazioni, i fatti che per la loro stessa natura dovrebbero essere incontrovertibili e non opinabili, non hanno più nessuna importanza, non vengono neanche presi in considerazione, anzi sono un problema da dover gestire o nascondere. Come si può definire l’agenda di un governo se non ci sono i dati “indiscussi e non opinabili” che ne dettino le priorità? Prendiamo ad esempio la tematica dell’immigrazione. Dal sito del Ministero dell’Interno, possiamo scaricare un interessante cruscotto statistico giornaliero che ci dice come nel 2018, prima ancora della formazione di questo governo, l’immigrazione sia calata dell’85%.

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Questo dato viene dal Ministero di Salvini, per cui non credo che sia in discussione la sua attendibilità. La domanda sorge spontanea: possiamo considerare l’immigrazione ancora una emergenza, a fronte di questo calo così drastico? Se sì, fino a quando si vuole scendere per non considerarla più come tale? I dati ci servono per prendere le giuste decisioni da una parte o dall’altra. A tal proposito non si può non citare il recente scontro tra il presidente dell’INPS Boeri, che ci ricorda -giustamente- che i dati non si fanno intimidire e la risposta del governo che lo accusa di fare “politica”. Se il dato è “politico” vuol dire che è parlante, ovvero che contiene in sé la risposta, ed è forse questo il vero problema. Insomma trovo paradossale, che nell’era dei Big Data, dove i dati rappresentano un valore inestimabile, seppur complesso, si faccia del tutto per nasconderli.

Quello dell’immigrazione è solo uno dei casi di incongruenza tra il dato che abbiamo a disposizione e la relativa azione politica che ne consegue, e forse non è neanche il più eclatante. Si pensi a tutta la pericolosa polemica sui vaccini: che siano di vitale importanza è un dato incontrovertibile, non è igienico opinare su un fatto così palesemente acclarato, ammesso e non concesso che i politici possano mettere bocca su un dominio così complesso come quello della ricerca medica (si pensi che si è arrivati al paradosso di proporre di mettere in quarantena i bambini vaccinati). È sbagliato illudersi di trovare un dialogo con loro, sia perché il podio non è un elefante, sia perché gli psicologi Dunning e Kruger ci hanno già spiegato molto bene che questo tipo di persone sono vittime di una distorsione cognitiva, per la quale la mancanza di competenze non permette a loro neanche di riconoscere i propri limiti ed errori, rendendoli a loro volta anche estremamente supponenti.

Il discorso non cambia, anzi peggiora, quando si parla della necessaria autorevolezza che si richiede a chi ci governa. I ricercatori scientifici vengono misurati con il numero di pubblicazioni e con il relativo numero di citazioni, mentre nella politica attuale, si mistificano i CV, si inventano corsi accademici mai effettuati, si riportano con orgoglio lavori che nulla hanno a che fare con le competenze che la politica richiede. Probabilmente questa convinzione che non siano necessarie le competenze, che uno (incompetente) vale uno (competente), viene dal grande fraintendimento della cosiddetta intelligenza collettiva, che è un clamoroso abbaglio, visto che la quantità non potrà mai trasformarsi in qualità (su questa tematica ho già avuto modo di parlarne in questo lungo post su Linkedin).

Infine, se una azienda dovesse prendere le proprie decisioni esclusivamente sulle percezioni, solo su quello che pensa possa piacere agli altri, senza avere un riscontro dai dati che ha in possesso, fallirebbe nel giro di qualche mese. Stessa fine che farebbe se non assumesse persone qualificate e competenti. Messa così, vi chiedo: quanto tempo ha il sistema Italia prima di rischiare il default?

 

Tutto il potere alle ricercatrici e ai ricercatori

Premesso tutto questo, a mio modesto parere, serve una cura shock per il nostro paese, una nuova cultura del dato, serve ripartire dal metodo scientifico del nostro Galilei. Da qui l’idea di questo post: chiedere alle ricercatrici e ai ricercatori di tutte le università, di farsi avanti, di sporcarsi le mani, di auto-organizzarsi per prendere il potere politico per andare in parlamento e al governo.

Urge una lotta armata di libri, studi, ricerche, abstract e note a piè di pagina. Occorre dare alla nostra società il messaggio opposto a quello attualmente imperante: niente è semplice, figuriamoci le risposte ai grandi problemi. Serve studiare, sudare, scontrarsi con le differenti ipotesi, proporre idee nuove, grazie ad articolati brainstorming portati avanti dalle migliori menti che il nostro paese ha a disposizione.

Care ricercatrici, cari ricercatori, permettetemi di parlarvi in prima persona: è il vostro turno, smettetela di lamentarvi, di protestare per non ricevere le giuste attenzioni, visti gli esigui fondi che tutti i governi da sempre vi riservano. Avete tutti gli strumenti, a basso costo, per creare un network di competenze multidisciplinari, che spazino dalle scienze politiche, economiche, sociologiche, informatiche, di comunicazione.

Dagli ingegneri informatici, miei colleghi, mi aspetterei una infrastruttura tecnologica -al servizio di tutti gli altri ricercatori- che abiliti il networking tra esperti e un complesso sistema di idea management, che faccia emergere l’innovazione e i talenti. A loro chiederei un utilizzo benefico, for good, di tecnologie come big data e machine learning, perché i dati, seppur fondamentali da soli non bastano: bisogna saperli macinare, darli in pasto agli algoritmi di intelligenza artificiale affinché si possano trasformare in fatti ancora più complessi ad alto valore aggiunto.

Ai sociologi, psicologi, esperti di comunicazione, chiederei una via di uscita da questo impasse. Bisogna forse ripartire dalle basi, dalla piramide di Maslow (come ci ricorda Anna Maria Testa in questo interessante articolo scritto per L’Internazionale), oppure inventarci modelli nuovi più aggiornati, ma il cosiddetto populismo -per come lo conosciamo noi- va studiato, capito, aggredito, disinnescato. Esistono alternative valide ed efficaci, alla facile e becera speculazione sulle paure altrui? Parlare alla pancia delle persone è l’unica strategia vincente, o è ipotizzabile un marketing politico più ragionato? Da un recente studio emerge che ben l’82% delle persone non sia in grado di riconoscere una fake news, credo che sia il caso di preoccuparcene da subito (a tal proposito vi consiglio l’ottimo lavoro svolto da Antonella Vicini e Walter Quattrociocchi). Ed infine, quale nuova leadership è necessario mettere in piedi e con quali caratteristiche? Probabilmente è da loro che dovrà emergere la nuova classe dirigente politica di questo paese.

Forse sbaglio, ma i ricercatori di economia e finanza hanno già un’ampia letteratura dalla quale possono partire, visto che molte problematiche di questo dominio le abbiamo in comune con tanti altri paesi.  Ad esempio, se è l’evasione fiscale, come sembra, il nostro problema principale, come è stato risolto negli altri paesi? Come può essere declinato nel nostro paese? Potrebbe avere un senso applicare la stessa strategia adottata dal Portogallo, che ha creato un link tecnologico tra il cittadino e l’agenzia delle entrate? Potrebbe funzionare la strana idea di rendere gli scontrini, biglietti della lotteria come hanno fatto molti paesi tra i quali Albania, Portogallo, Cina, Taiwan, Grecia, etc? Probabilmente, o magari no. Di nuovo: bisogna studiare, sperimentare, confrontare, capire, proporre idee “fuori dalla scatola”, spingere il pensiero laterale oltre i confini a noi conosciuti. Tutte cose che i ricercatori e le ricercatrici fanno ogni giorno.

 

Il potere del brainstorming

Sono convinto che i ricercatori, di qualsiasi facoltà, possano essere concreti ed uscire dal loro fatato mondo della ricerca astratta e accademica perché hanno la cultura del confronto, del brainstorming. E’ lì che la magia accade, quando due o più intelligenze si confrontano tra di loro, mettendo sul tavolo tutte le loro idee senza sentirsi giudicati (come il brainstorming impone), con l’onestà intellettuale che spesso li contraddistingue, magari tra persone che vengono da culture, paesi, etnie, gender diversi. La parte più gratificante del mio lavoro da manager di una società informatica, avviene quando vedo ragionare insieme menti fresche appena laureate. E’ la loro interazione che fa moltiplicare le loro intelligenze, permettendo alla migliore idea di emergere, cosa che non otterrei se sommassi le loro intelligenze chiedendo ad ognuno di loro la soluzione del determinato problema. Insomma, per tornare alla partita di calcio dei Monty Python, il consiglio è quello di fermarsi a ragionare per poi (eureka!) prendere il pallone e fare goal.

 

Ma anche le università devono cambiare

Ovviamente non possiamo dimenticare il fatto che le università italiane soffrono di un endemico nepotismo e di una totale mancanza di meritocrazia, anche e soprattutto per come vengono assegnati i fondi di ricerca. L’economista Roberto Perotti, che insegna sia alla Columbia University che alla Bocconi, ha avuto il coraggio di raccogliere un numero consistente di casi di nepotismo nella ricerca e metterli nero su bianco in un libro, facendo nomi e cognomi. Probabilmente un eventuale movimento politico nato nelle biblioteche universitarie avrà anche il difficile compito di superare queste idiosincrasie interne.

 

Conclusioni

In Italia abbiamo i migliori ricercatori, nonostante la carente infrastruttura del nostro paese. Moltissimi di loro si sono fatti valere nel mondo, sono una risorsa incredibile, ma non permettendo a loro un dignitoso futuro, sono costretti a cercarlo e trovarlo altrove. E’ uno spreco non più sostenibile, visti i costi necessari per formarli. L’invito è quello di rimanere in Italia e lottare per prendersi il potere politico, creando un network nazionale ed internazionale, studiando i problemi reali del paese per proporre eventuali soluzioni. Probabilmente, non lo nascondo, il primo problema da risolvere sarà proprio quello di capire come convincere un popolo che soffre di un grave analfabetismo funzionale, ma se fosse stata una semplice sfida non mi sarei rivolto a voi.

So bene che non è semplice anche perché è tutto da inventare, ma in questo scenario attuale, non possiamo permetterci il lusso di seguire il flusso del pensiero dominante e conformista. Insomma, cari ricercatori e care ricercatrici, fatelo per rendere onore a Galilei, che il potere politico/religioso lo ha subìto fino alle estreme conseguenze, ma soprattutto fatelo per noi, per il nostro paese, liberateci da questa dilagante incompetenza, per un nuovo risorgimento italiano. Siate realisti, chiedete l’impossibile.

— Emiliano Pecis su Linkedin