Brexit verso il 29 marzo: le opzioni in discussione e i rischi per l’economia

scritto da il 21 Gennaio 2019

Pubblichiamo un post di Mario Angiolillo, direttore dell’Osservatorio Relazioni EU-UK-USA di The Smart Institute. Esperto di tematiche geopolitiche e di relazioni internazionali, svolge attività di advisory per diverse società con particolare riferimento agli impatti e alle opportunità offerte da Brexit –

È ripreso a Westminster il dibattito su Brexit dopo la bocciatura del cosiddetto Withdrawal Agreement, la proposta di accordo per regolare l’uscita del Regno Unito dall’UE ai sensi dell’Art. 50 del Trattato sull’Unione Europea, e il superamento della mozione di sfiducia al Governo proposta dai laburisti.

Il Withdrawal Agreement prevede tre punti fondamentali:

1. Il mantenimento dei diritti di cittadinanza per i cittadini britannici residenti in uno stato membro dell’UE e viceversa per i cittadini europei residenti sul territorio del Regno Unito;

2. L’istituzione di un periodo di transizione fino al 31 dicembre 2020 durante il quale la situazione rimarrebbe invariata. Il periodo di transizione sarebbe utilizzato per dare vita ai negoziati per la definizione di un accordo per regolare le future relazioni tra le parti nel post Brexit. Come ideale corollario di questo punto dell’accordo è da considerare la dichiarazione di intenti sottoscritta da Commissione Europea e Governo Britannico per individuare un accordo sulle future relazioni in grado di garantire il mantenimento di un intenso rapporto di cooperazione tra le parti nel post Brexit.

3. Un allegato sulla questione irlandese contenente il cosiddetto meccanismo del backstop secondo il quale l’Irlanda del Nord rimarrebbe nell’Unione doganale con l’UE fino a quando non fosse approvato l’accordo per regolare le future relazioni tra le parti. Ed è stato proprio questo punto la principale causa della mancata approvazione a Westminster del Withdrawal Agreement, vista l’opposizione di numerosi parlamentari britannici, anche conservatives, che temevano che un mancato accordo sulle future relazioni al termine del periodo di transizione potesse determinare un disallineamento tra l’Irlanda del Nord ed il resto del Regno Unito.

Dopo una serie di consultazioni trasversali tenute dalla Premier Theresa May per individuare il percorso da seguire nelle prossime settimane, per la Brexit restano al momento in campo diverse soluzioni.

La prima è che la Premier ottenga un mandato per tornare a Bruxelles a trattare una modifica al Withdrawal Agreement sul contestato meccanismo del backstop al confine Irlandese. Soluzione plausibile anche alla luce del fatto che in caso di applicazione di tale meccanismo l’UE sarebbe costretta a concedere a tutti i paesi del WTO condizioni equivalenti al backstop irlandese sulla base della clausola della nazione più favorita, contenuta nell’art. 1 del GATT. Senza dimenticare che un eventuale scenario no-deal, reso possibile dalla mancata approvazione del Withdrawal Agreement, non sarebbe favorevole neanche all’economia europea.

È pertanto possibile che, dopo alcune settimane in cui Commissione e Consiglio Europeo si sono dichiarati indisponibili a modificare l’accordo già negoziato, possa infine arrivare la disponibilità ad emendarlo.

Si è inoltre parlato come soluzione alternativa, anche se meno probabile, della permanenza a tempo del Regno Unito nello Spazio Economico Europeo.

In entrambi i casi, l’approvazione del Withdrawal Agreement emendato sul backstop o la permanenza a tempo nel SEE, il passaggio successivo sarebbe rappresentato dall’avvio delle trattative sulle future relazioni, e da tempo si parla di un modello sulla falsariga del CETA, l’accordo tra Ue e Canada, che in quanto accordo globale non si limita a regolare il commercio di beni ma definisce numerose altre questioni tra cui l’apertura del mercato dei servizi inclusi i servizi finanziari, il reciproco riconoscimento delle qualificazioni professionali, la partecipazione alle gare di appalto pubbliche, ed altro ancora, come abbiamo già dettagliatamente analizzato su queste colonne.

Resta però sul tavolo anche l’ipotesi di un nuovo referendum, sostenuta da diversi parlamentari “remainers”, e una Brexit no-deal, che si realizzerebbe se da qui al 29 marzo non si trovasse una soluzione tale da essere approvata a Westminster o non si procedesse con una estensione del periodo di negoziazione.

Elaborazione a cura dell’Osservatorio relazioni EU-UK-USA di The Smart Institute Think Thank

Grafico. Elaborazione a cura dell’Osservatorio relazioni EU-UK-USA di The Smart Institute Think Thank

La richiesta avanzata dai principali operatori economici britannici, dalla British Chamber of Commerce, all’Institute of Directors ai principali operatoti finanziari della City, è relativa all’urgenza di individuare una soluzione che scongiuri un’uscita no-deal e dia rapidamente delle certezze in grado di favorire stabilità per l’economia.

Certezze e stabilità che non sono indispensabili solo all’economia britannica ma sono importanti anche per quella europea.

Non bisogna infatti dimenticare le forti interrelazioni tra le economie dei due versanti della Manica. Basti pensare agli oltre 650 mld di euro di scambi commerciali tra Unione Europea e Regno Unito registrati nel solo 2017, o ai mercati finanziari e agli oltre 850 mld di euro al giorno di strumenti finanziari denominati in euro scambiati principalmente nella City.

E lo stesso dicasi per l’Italia con i circa 700 mila cittadini italiani che vivono nel Regno Unito, di cui oltre 600 mila nella sola città di Londra, senza dimenticare gli oltre 40 mld di euro di scambi commerciali che si registrano annualmente tra Italia e Regno Unito e la profonda interrelazione a livello di mercati finanziari con Borsa Italiana controllata dal London Stock Exchange Group.

Fino ad ora il livello degli scambi commerciali tra le parti è rimasto pressoché invariato, anche per effetto della tenuta dell’economia britannica dal referendum del 2016 ad oggi.

Il Pil dell’economia del Regno Unito ha infatti continuato a crescere in valore assoluto e lo ha fatto mantenendo un tasso di crescita costante, all’1,8% nel 2016, all’1,7% nel 2017 e già all’1,5% al Q3 del 2018. Il tasso di disoccupazione è diminuito ai livelli più bassi dal lontano 1974, attestandosi al 4,4% nel 2017 ed al 4,1% al Q3 del 2018, seppure in presenza di un leggero calo dei salari reali per effetto dell’incremento dell’inflazione che si è comunque mantenuta intorno al target del 2,5%. Si è invece assistito ad un deprezzamento della sterlina pari a circa il 7% nel 2018.

Tabella. Andamento dell’economia Britannica dal pre-referendum ad oggi (Q3 2018: 30.09.2018)

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Fonte: Elaborazione Osservatorio relazioni EU-UK-USA di The Smart Institute Think Thank su dati ONS

Ma quanto potrà tenere ancora l’economia britannica se perdurasse una situazione di incertezza su quale sarà il punto di caduta del dibattito su Brexit?

Secondo la Confindustria Inglese, ad esempio, il Pil britannico potrebbe avere una flessione tra il 3% ed il 7% in caso di un’uscita no-deal e questo potrebbe evidentemente avere effetti negativi sull’entità degli scambi commerciali con l’UE.

Sul versante Britannico è proprio dalla valutazione che si dà delle interrelazioni tra le economie dei due versanti della Manica, e delle possibili conseguenze di Brexit, che discendono le diverse posizioni che si stanno confrontando in queste settimane.

C’è la posizione di chi ritiene che negli anni si sia ormai creata una situazione di interconnessione tale per cui l’uscita dalla UE non potrebbe che avere effetti negativi e recessivi sull’economia britannica.

Ci sono invece quanti pensano che recuperare indipendenza nelle scelte, ad esempio nella realizzazione di accordi commerciali con Paesi Terzi, rappresenti un fattore di sviluppo economico, ma che al contempo ritengono che questo si possa fare anche mantenendo una relazione di intensi scambi economici e commerciali con la UE profittevoli per entrambe le parti.

È poi presente una scuola di pensiero secondo cui il Regno Unito avrebbe dei vantaggi nello slegare il più possibile la propria economia da quella europea, ponendosi anzi in concorrenza con questa nell’andare ad attrarre capitali ed investimenti da economie terze, quali ad esempio quella cinese, per fare del Regno Unito il crocevia degli investimenti su questa sponda dell’Atlantico e di Londra una nuova Singapore.

Per ora le lancette della Brexit continuano a scorrere da quando si è celebrato il referendum del 2016, ma ancora non si è giunti ad una soluzione. 
Le prossime settimane saranno decisive.

Twitter @DottAngiolillo