La spesa pubblica in Italia e in Germania: due traiettorie divergenti

scritto da il 15 Aprile 2019

L’autore di questo post, Antonino Iero, oggi in pensione, è stato responsabile del Centro Studi e Ricerche Economiche e Finanziarie di UnipolSai – 

In una moderna economia di mercato, la spesa pubblica gioca un ruolo importante sotto diversi profili. In essa confluiscono istanze di natura sociale (previdenza, sanità, istruzione, lotta alla povertà), così come spese legate a politiche di natura più discrezionale. Non ultimo, la spesa pubblica dovrebbe rappresentare un fattore di accelerazione della crescita economica, per esempio, grazie al sostegno mirato verso i settori industriali più dinamici o la ricerca scientifica. Naturalmente, la spesa pubblica costituisce anche una delle voci più rilevanti per l’equilibrio dei conti pubblici e, in definitiva, risulta determinante per la sostenibilità del rapporto tra debito pubblico e PIL, con riguardo sia al numeratore che al denominatore.

Per tali ragioni può risultare di qualche interesse esaminare l’andamento di questo aggregato comparando il nostro Paese con il benchmark di riferimento a livello europeo, ossia la Germania.

Nel primo grafico sotto è riportata la serie storica delle osservazioni relative alle due nazioni (1). Si noti come, a partire dal 2011, la spesa pubblica tedesca (espressa in euro) evidenzi un progressione al rialzo, mentre quella italiana presenta un significativo appiattimento.

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Naturalmente, data la diversa dimensione dei due sistemi economici, risulta utile rapportare le due spese pubbliche ai rispettivi prodotti interni lordi (grafico sotto). Ne emerge una lettura più articolata: i due aggregati avevano grosso modo lo stesso peso sul PIL fino al 2004 – 2005. Successivamente, la spesa pubblica italiana, nonostante una certa stabilità in termini monetari, ha aumentato la sua incidenza sul PIL, mantenendosi costantemente superiore al parametro tedesco. Nei 23 anni esaminati, la spesa pubblica italiana è passata da un’incidenza del 51,8% del PIL al 48,7%, mentre in Germania si scendeva di quasi 11 punti, dal 54,7% al 43,9%.

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I dati presentati includono, nella spesa pubblica, anche la componente relativa al pagamento degli interessi passivi sul debito sovrano. Ed è noto come, sotto questo punto di vista, l’Italia risulti penalizzata a causa del suo pluridecennale cospicuo debito pubblico, che comporta tassi di interesse elevati. Pertanto non appare incongruo depurare la spesa pubblica da questa voce.

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La rappresentazione grafica sopra conferma il maggior onere italiano, in termini di peso sul PIL, rappresentato dalla spesa per interessi passivi.

I due grafici qui sotto riportano la spesa pubblica al netto della spesa per interessi passivi sia in valori assoluti (milioni di euro correnti) che in rapporto al PIL. In particolare, quest’ultimo indicatore evidenzia nell’intero periodo osservato un progressivo incremento per l’Italia (+5,4 punti di PIL) a fronte di una contestuale discesa per la Germania (-8,32 punti di PIL) (2).
È possibile che sia la sola dinamica del denominatore (ossia la bassa crescita del PIL italiano) a spiegare questa ampia divergenza?

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Per avere qualche elemento di riflessione ho provveduto a calcolare gli effetti che le diverse determinanti hanno avuto sull’evoluzione del rapporto tra spesa pubblica (al netto degli interessi passivi) e il PIL, in analogia con quanto presentato a suo tempo per il parametro debito pubblico su PIL (3). Anche in questo caso è necessario partire da un semplice modello rappresentativo della dinamica del fenomeno che si vuole esaminare.

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La variazione nel tempo dell’incidenza della spesa pubblica sul PIL è stata scomposta attribuendone una quota ad ognuna delle tre determinanti (s, g, p) definite sopra. Tale procedimento è stato applicato tanto ai dati italiani, quanto a quelli tedeschi. Il risultato di tale esercizio, calcolato nell’arco del periodo 1995 – 2017, è presentato nel grafico sottostante.

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La prima coppia di istogrammi mostra quanto già rilevato: nel periodo esaminato, il peso della spesa pubblica al netto degli interessi sul PIL diminuisce per la Germania e aumenta per l’Italia.

La seconda coppia di istogrammi rappresenta l’effetto della dinamica interna della spesa pubblica: il dato tedesco ci dice che, se tutte le altre componenti fossero state nulle, tale fattore avrebbe accresciuto il peso della spesa pubblica tedesca di 14 punti di PIL. Più rilevante è la dinamica interna della spesa pubblica italiana che, al netto degli altri fattori, avrebbe determinato un crescita di ben 34 punti di PIL.

La terza coppia di istogrammi segnala come la crescita reale del PIL tedesco sia stata in grado, da sola, di annullare l’effetto dell’aumento della spesa pubblica. Diverso è il quadro per l’Italia, dove la crescita reale del PIL offre un contributo alla riduzione del peso della spesa pubblica di appena 5 punti.

La situazione si ribalta quando si fa riferimento al deflatore del PIL. Qui la maggior inflazione italiana si riflette in un forte effetto contenitivo di questo fattore sul peso della spesa pubblica (-22 punti). Al contrario, la caratteristica tipica dell’economia tedesca, ossia la contenuta inflazione, si riflette in un contributo di riduzione del deflatore del PIL più modesto (-8 punti di PIL).

L’ultima coppia di istogrammi rappresenta gli effetti di fattori marginali non considerati e delle correlazioni tra tutti i fattori. Come si vede, si tratta di valori esigui.

Sulla base di questa esplorazione preliminare si potrebbe concludere che, al netto della crescita nominale del PIL, i governi italiani non sono stati in grado di porre un efficace freno alla spesa pubblica. Determinando una significativa divergenza dell’andamento di tale parametro (in rapporto al PIL) tra l’Italia e l’economia di riferimento dell’Eurozona, la Germania. Tuttavia, poiché chi scrive non intende affatto demonizzare la spesa pubblica, l’aspetto più rilevante (e più grave) che emerge da tale quadro non attiene tanto alla crescita della spesa pubblica in quanto tale, bensì al fatto che la dinamica di tale voce non sia stata in grado di innescare un significativo sviluppo del PIL italiano. Qui è difficile non pensare che le radici di questo deludente risultato vadano cercate in una insoddisfacente qualità della spesa pubblica italiana, almeno nel confronto con quella tedesca.

Qualche indizio in grado di spiegare la scarsa efficacia della spesa pubblica italiana a favore delle crescita economica emerge anche dalla dinamica degli investimenti pubblici, rappresentata nel grafico sotto. Si noti la forte discesa della componente investimenti a partire dal 2010. Addirittura, negli ultimi due anni il peso sul PIL degli investimenti pubblici in Italia è risultato minore di quello tedesco. Se consideriamo che, a partire dal 2009, anche gli investimenti privati italiani risultano in forte contrazione, si capisce bene come il mancato effetto di compensazione degli investimenti pubblici sia stato (e sia tuttora) particolarmente grave (4).

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La politica dell’attuale esecutivo, che sembra aver puntato tutte le sue carte su una rilevante espansione della spesa corrente (in particolare attraverso i due provvedimenti “bandiera” dei due partiti di maggioranza, ossia il reddito di cittadinanza e l’ammorbidimento dei requisiti per accedere alla pensione), mostra, in realtà, una spiacevole continuità con i governi che lo hanno preceduto. Una continuità singolare per un governo autodefinitosi del “cambiamento”, una continuità di cui il Paese farebbe volentieri a meno.

 

NOTE
1) Tutti i dati presentati in questo articolo sono stati tratti da Eurostat. I valori sono espressi in milioni di euro correnti (o in percentuale sul PIL) e coprono il periodo che va dal 1995 al 2017.

2) Anche escludendo il dato del 1995, che mostra un picco di incidenza di spesa pubblica sul PIL per la Germania, e considerando il periodo 1996 – 2017, il peso della spesa pubblica italiana aumenta di 4,51 punti di PIL contro una diminuzione di 2,63 punti di PIL per la Germania. 

3) Si veda, anche per la metodologia: economiaepolitica, A. Iero “Debito pubblico, una questione di interessi”, 11 aprile 2018. https://www.economiaepolitica.it/politiche-economiche/debito-pubblico-una-questione-di-interessi/ 

4) Senza contare la diversa natura che dovrebbero avere gli investimenti pubblici rispetto a quelli privati, come una maggiore propensione verso la ricerca di base e un orizzonte temporale maggiore.