Trump, Biden e il protezionismo a stelle e strisce che continua

scritto da il 20 Gennaio 2021

Le elezioni americane dello scorso novembre hanno decretato il cambio al vertice politico degli Stati Uniti e il ritorno di una Amministrazione democratica in sostituzione di quella repubblicana guidata da Trump. Esito salutato con favore da molti osservatori sia di parte statunitense che europea, a maggior ragione alla luce dei recenti problemi di ordine pubblico registrati negli USA nella fase di transizione, che hanno fatto il giro del mondo.

Il manifesto politico del governo uscente era considerato troppo incentrato sull’America first e dunque di ostacolo allo sviluppo dei rapporti bilaterali. In effetti, la strategia isolazionista e protezionista perseguita da Trump durante il suo mandato ha causato l’interruzione dei negoziati per il Trattato di libero scambio UE-USA (TTIP – Transatlantic Trade and Investment Partnership), la non ratificazione del suo corrispettivo nell’Area del Pacifico (TPP – Trans-Pacific Partnership) in chiave anticinese, la rinegoziazione dell’Accordo di libero scambio con Canada e Messico (Nafta – North American Free Trade Agreement, ora diventato USMCA – United States-Mexico-Canada Agreement) nel tentativo peraltro di favorire il settore industriale automobilistico domestico e infine l’innesco di una guerra commerciale con la Cina.

A ben vedere, tuttavia, l’Amministrazione Trump ha soltanto esacerbato una tendenza protezionistica che in quel Paese ha preso piede negli anni precedenti. Basti pensare al settore degli appalti pubblici che negli ultimi dieci anni ha visto incrementare esponenzialmente le misure discriminatorie nei confronti delle imprese straniere, attestandosi a oltre 160 disposizioni in vigore nel 2019. Di queste, la maggior parte garantisce trattamenti preferenziali di vario grado e genere alle imprese statunitensi a discapito di quelle straniere, europee e italiane incluse. Misure che, peraltro, incidono negativamente pure nella catena logistica e di approvvigionamento delle stesse imprese USA e delle loro filiali estere. A ciò si aggiunga che non tutti gli stati federali USA hanno aperto l’accesso ai loro appalti nel quadro delle regole stabilite dal Global Procurement Agreement (GPA), che è l’accordo siglato in ambito di Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), che fissa standard minimi comuni in termini di trasparenza, anticorruzione, apertura del mercato degli appalti pubblici e tutela delle imprese straniere nelle corti nazionali. Sono inoltre esclusi gli appalti relativi alle infrastrutture stradali e di trasporto di massa finanziate con fondi federali nonché gli appalti pubblici delle municipalità. Di conseguenza, l’accesso agli appalti pubblici ai livelli di governo federale, sub-federale e locale rimane sostanzialmente ristretto a differenza di quanto accade nell’Unione europea, la cui legislazione prevede l’accesso agli appalti pubblici agli operatori economici stranieri anche a livello sub-nazionale.

A tal proposito, è bene rammentare che Trump aveva ventilato la possibilità di ritirare gli Stati Uniti dal GPA, in una strategia che si inquadrava nel più ampio contrasto al multilateralismo perseguito dall’OMC, e ciò al fine di favorire un ritorno a relazioni bilaterali vis à vis tra gli Stati Uniti e i singoli Partner economici, sfruttando la maggior forza contrattuale della prima potenza economica mondiale.

Joe Biden

Joe Biden

Giova concentrarsi sul settore degli appalti, cruciale in questa fase di crisi economica dovuta alla pandemia mondiale causata dal Covid-19, poiché rappresenta uno dei principali strumenti nelle mani dei policymaker per stimolare la domanda e far ripartire l’economia e l’occupazione. Dati alla mano, infatti, il settore si attesta a una quota a doppia cifra del Pil delle economie avanzate. Nella sola UE ammonta a circa il 13% del PIL al netto degli appalti pubblici delle imprese statali, in Italia a oltre il 10%. Da questo punto di vista, sarebbe auspicabile che gli Stati Uniti, sfruttando il cambio di guardia a Washington, dessero un segnale di discontinuità con le politiche protezionistiche che danneggiano i principali partner commerciali, Unione europea e i suoi stati membri in primis.

L’apertura internazionale del mercato degli appalti pubblici in un Paese è misurabile attraverso tre canali. Il primo canale è rappresentato dagli appalti internazionali transfrontalieri diretti che si realizzano quando un’impresa straniera si aggiudica un appalto pubblico in un altro Paese direttamente dall’estero. Il secondo canale si ha nel caso di presenza commerciale in loco, ovvero quando un’impresa straniera si aggiudica un appalto pubblico in un altro Paese grazie alla presenza di una sua filiale. Il terzo canale è rappresentato dagli appalti internazionali indiretti a valore aggiunto qualora un’impresa straniera partecipi a un appalto pubblico in un altro Paese fornendo beni e servizi intermedi.

In ambito UE, secondo i dati desunti dal Tenders Electronic Daily (TED) database che raccoglie le informazioni sugli appalti soprasoglia[1] delle istituzioni dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri, nel 2017 operatori economici stranieri hanno acquisito, direttamente e indirettamente, contratti pubblici del valore di circa 50 miliardi di euro. Di questi, oltre 4 miliardi di euro nell’ambito del primo canale relativo all’appalto internazionale transfrontaliero diretto, circa 27 miliardi di euro nell’ambito del secondo canale, cioè mediante filiali localizzate in UE, e circa 18 miliardi di euro attivando il terzo canale, ovvero attraverso la fornitura di beni e servizi intermedi[2]. In particolare, le imprese statunitensi si sono aggiudicate contratti in Unione europea del valore di circa 2 miliardi di euro nell’ambito del primo canale, circa 6 miliardi di euro nell’ambito del secondo canale e più di 3 miliardi di euro considerando il terzo canale, per un totale di oltre 11 miliardi di euro di contratti pubblici soprasoglia gestiti direttamente o indirettamente.

Viceversa, lo U.S. Government Accountability Office attesta a circa 3 miliardi di dollari [3] il valore dei contratti pubblici aggiudicati a imprese UE. Tuttavia, si tratta di dati non comparabili rispetto a quelli descritti in precedenza poiché relativi soltanto al primo canale di accesso e misurati secondo criteri diversi rispetto a quelli UE.

Aldilà dei numeri, infatti, resta che il neopresidente eletto USA, Joe Biden, nel suo piano di rilancio dell’economia statunitense, rimproverando Trump di non aver tutelato abbastanza l’industria domestica, ha inserito tra i punti del suo programma il Buy American, il Make it in America, lo Innovate in America, l’Invest in all in America, lo Stand Up for America e il Supply America. L’insieme di questi punti evidenzia la volontà di dare quantomeno continuità alla politica protezionistica americana, il che nel medio periodo potrebbe raffreddare gli entusiasmi – perlomeno in materia di scambi commerciali – con cui l’avvicendamento alla Casa Bianca, piuttosto turbolento, è stato accolto.

Twitter @andreafesta_af

NOTE

[1] Tutti i membri aderenti al WTO Global Procurement Agreement osservano il medesimo set di regole nell’ambito degli appalti pubblici qualora il valore degli stessi superi una determinata soglia che varia in base alla tipologia di appalto, al settore ordinario o speciale, nonché alla collocazione dell’amministrazione committente nell’ambito del settore pubblico allargato di ciascun Paese.

[2] Per maggiori dettagli, si veda L. Cernat and Z. Kutlina-Dimitrova (2020) “Public Procurement: How Open is the European Union to US Firms and Beyond?” CEPS, No 2020-04 / March 2020.

[3] GAO (2019), “International Trade: Foreign Sourcing in Government Procurement”, United States Government Accountability Office, Washington.