La crisi dei piccoli aeroporti e il case study di Trapani

scritto da il 20 Agosto 2019

Questo post è stato scritto in collaborazione con Luca Sciacchitano, fondatore del Comitato per la salvaguardia dell’Aeroporto di Trapani, imprenditore, autore di due volumi di narrativa e opinionista presso alcune testate giornalistiche – 

Bolzano, Parma, Siena, Salerno, Lamezia Terme, Crotone, Trapani: non solo denominazioni territoriali o luoghi d’uno storico percorso socio-economico, ma anche e soprattutto sedi di piccoli scali aeroportuali, specificazione, quest’ultima, che comporta, oggi, la coscienza d’un disagio ‘aggregato’. Seri problemi di bilancio, generati talora da perdite ingestibili, compagnie low cost in fuga, società di gestione, per lo più ad amplissima partecipazione pubblica, sull’orlo della messa in liquidazione, accordi di co-marketing fantasmagorici o inevasi, parecchi miliardi di euro sprecati in nome di ricapitalizzazioni irrazionali e prive di qualsivoglia criterio di pianificazione industriale, arresti clamorosi per collusione mafiosa o manipolazione delle gare di riferimento e numerosi posti di lavoro perduti: questi sono gli elementi che, nell’ultimo decennio, hanno caratterizzato l’aviazione civile delle città summenzionate e che, in alcune circostanze, a tutt’oggi, ne destabilizzano il PIL. Di fatto, non sarebbe un problema di traffico, la cui crescita s’è rivelata costante sia negli anni dello shock petrolifero sia in quelli della recente crisi finanziaria. Da un grafico tratto da un rapporto CENSIS a proposito del Sistema aeroportuale italiano rileviamo, infatti, che, in 35 anni, il numero dei passeggeri è aumentato di oltre il 45.000%, una quota inappuntabile.

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Se, diversamente, valutiamo la proiezione di crescita calcolata sulla dinamica nazionale del decennio 2006-2016, la previsione per il 2035 è fissata in 298 milioni di passeggeri; il che implica un incremento, rispetto alla stima del 2015, pari a poco più del 180%. In considerazione dei dati, tutti positivi a dispetto dei cosiddetti ‘shock’, e di un mercato che, ovviamente, resiste a tutto, vien fatto di pensare che le lacune siano del tutto – o quasi – amministrativo-manageriali, per così dire.

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Di tanto in tanto, forse, la politica potrebbe fare un po’ di spazio alla ‘tecnica’, alle competenze, se vogliamo mostrare un certo spirito pragmatico. Già nel 2013, Alberto Crepaldi, impegnandosi a fare il quadro della situazione dei piccoli aeroporti italiani, in un articolo scritto con Danilo Procaccianti, documentava, per esempio, che, a Bolzano, erano stati spesi invano più di 70 milioni, Parma aveva comportato una spesa di circa cento milioni in cinque anni, ma aveva fatto registrare, nel 2012, poco meno di novemila passeggeri, Siena, dal 2010 al 2012, aveva causato perdite per 10 milioni, Lamezia Terme per 4 milioni e così via. Se però si consulta il sito dell’ENAC, si scopre che Lamezia Terme, Crotone, Salerno et al. rientrano nella categoria degli Aeroporti d’interesse nazionale: una contraddizione in termini, tranne che qualcuno voglia ridisegnare l’area semantica di “interesse nazionale”.

Se tuttavia alcune città ‘ce l’hanno fatta’, per così dire, riuscendo a riattivare le principali tratte e ricostruendo il rapporto ‘commerciale’ con le compagnie turistiche, altre, invece, sono sprofondate materialmente nella disperazione, molto verosimilmente con la complicità o la passività degli organi regionali di competenza. Il case study di Trapani, a tal proposito, è emblematico. Fino al 2017, quando l’aeroporto funzionava a pieno regime, il “Vincenzo Florio” di Birgi produceva un transito di circa 1.500.000 di passeggeri l’anno, generando un PIL territoriale – tra diretto e indotto – per un ammontare di 300 milioni di euro e posti di lavoro nell’ordine di circa 1.000 per ogni milione di passeggeri. KPMG, Il Sole 24 Ore e la stessa Ryanair costituiscono le fonti di queste cifre, mediante indagini e studi pubblicati in diverse circostanze. Si badi bene che stiamo parlando di una provincia il cui tasso di disoccupazione, nel 2018, s’è attestato al 23,6%: in pratica, un cittadino su quattro è disoccupato!

Tasso di Disoccupazione a Trapani

Tasso di Disoccupazione a Trapani

Se volgiamo lo sguardo al triennio 2015-2017, il periodo d’inizio della crisi aeroportuale, non facciamo alcuna fatica a stabilire una semplice relazione tra il balzo del tasso di disoccupazione trapanese, dal 16,7% al 24,4%, e il flusso di ricchezza determinato dall’attività dello scalo. Il tutto si fondava sul cosiddetto accordo di co-marketing tra la compagnia irlandese Ryanair e la società di gestione dell’aeroporto di Trapani, Airgest, cui subentrò, nel 2014, la Camera di Commercio di Trapani. Secondo un meccanismo piuttosto semplice, l’ente pubblico, interessato a generare flussi turistici sul proprio territorio, acquistava spazi pubblicitari attraverso l’agenzia AMS, Airport Marketing Services, controllata al 100% da Ryanair. Il costo dell’investimento si aggirava attorno ai 6 milioni di euro annui. La pubblicità, diffusa attraverso il visitatissimo sito della compagnia aerea – oltre 3.500.000 di utenti settimanali – era in grado di veicolare quel 1.500.000 di passeggeri annui sul “Vincenzo Florio”. I conti sono presto fatti: con un investimento tra i 4 e i 7 euro per passeggero, si otteneva un ritorno talmente evidente che, tuttora, non si capisce perché l’accordo sia stato abbandonato.

Nel 2014 la Commissione Europea ritenne di dover normare in maniera molto stringente questa tipologia di accordi con gli Orientamenti sugli aiuti di Stato agli aeroporti e alle compagnie aeree (2014/C 99/03). Vennero dunque introdotti tutta una serie di paletti tecnici ed eccezioni che misero fuori mercato gli aeroporti minori che sul co-marketing avevano prosperato e che, senza incentivi, non riuscirono più ad attrarre vettori sulle proprie piste. I governi presenti e passati, nel tentativo di far fronte alla crisi, provarono ad utilizzare uno strumento già esistente, ma con finalità diverse: la Continuità Territoriale, che si esplica in una serie di strumenti incentivanti e atti a calmierare i prezzi dei biglietti aerei, così da garantire il diritto alla mobilità delle aree isolate e periferiche.

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Per la sola Sicilia, il governo gialloverde e la Regione Siciliana hanno recentemente stanziato 48 milioni di euro per 3 anni (…a partire dal mese di marzo del 2020). Considerata la frequenza dei voli e la capienza degli aerei, anche ipotizzando il 100% di riempimento dei posti disponibili, il computo dei passeggeri difficilmente supererà le 450.000 unità annue: 1.500.000 di passeggeri nel triennio di applicazione dell’intervento. E subito salta all’occhio l’anomalia. Si tratta dello stesso numero di passeggeri che l’aeroporto di Trapani portava a casa in un solo anno. E forse è questo uno dei motivi per cui, in questi mesi, l’ENAC, su sollecitazione della Commissione Europea, sta discutendo sulle modifiche e le integrazioni agli Orientamenti.

Frattanto, qualche intervento alternativo non sarebbe deprecabile: la rimodulazione a saldi invariati delle addizionali comunali sui diritti d’imbarco di passeggeri sugli aeromobili, un costo di 6,50 + IVA per passeggero che ogni compagnia aerea sarebbe incaricata di recuperare e poi versare al gestore aeroportuale secondo la finanziaria 2003 (e successive modifiche). A propria volta, il gestore dell’aeroporto stornerebbe questo denaro all’INPS. Spalmando questa tassazione sulle decine di milioni di passeggeri che transitano per gli aeroporti più grandi, si riuscirebbe a sterilizzare totalmente l’addizionale sugli aeroporti minori. Un aumento che, per i passeggeri che transitano su Roma, Milano, Bergamo, Venezia et cetera, si tradurrebbe in qualche decina di centesimi, nulla che possa impensierire un viaggiatore. Se, dunque, la si azzerasse sugli gli scali più piccoli, si creerebbe una nuova competitività dentro le cui maglie si infilerebbero i vettori aerei. Tanto per fare un esempio concreto: sul già citato milione e mezzo di passeggeri che nel 2016 transitarono dal piccolo aeroporto di Trapani, l’annullamento di 6,5 euro di addizionali comunali avrebbero creato utili per 9.750.000 euro su tutti i vettori. Non un intervento a favore di una singola compagnia, ma un incentivo conforme ai principi di libero mercato.

Analizzando i numeri, possiamo già notare che si tratta di un utile ben maggiore dello stesso costo di co-marketing sostenuto dal gestore aeroportuale che, contestualmente, non se lo ritroverebbe più tra i costi di gestione, migliorando così l’equilibrio finanziario. Ma la cosa più importante di tutte sarebbe la capacità di rendere i piccoli aeroporti italiani più competitivi all’interno del mercato europeo. Dunque: nuova ricchezza e nuovi posti di lavoro in territori depressi, ma dalle grandi bellezze paesaggistiche e dalle altissime potenzialità turistiche.

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