Quante scuole nuove si realizzano con i soldi buttati nello spread?

scritto da il 17 Maggio 2019

Co-autrice del post è Valentina Soncini, laureanda presso l’università Liuc-Carlo Cattaneo di Castellanza –
Nella giornata di martedì il vicepremier Matteo Salvini ha affermato che il governo spenderà tutte le risorse necessarie per far scendere la disoccupazione sotto il 5%, anche se ciò comportasse una crescita del debito pubblico fino al 130-140% del prodotto interno lordo. Al leader della Lega non interessa cosa pensa Bruxelles, vuole “tirare dritto”, e non gli interessa nemmeno l’impatto delle sue parole sullo spread: “Se ci sono regole europee che stanno affamando un continente, stanno portando precarietà, disoccupazione e povertà come fosse normale, vanno cambiate. Rivedere questa gabbia europea non è un diritto ma è un dovere”. L’affermazione ha chiaramente avuto un effetto negativo sullo spread Btp-Bund, che è salito fino a 291 punti base (ovvero 2,91%), per poi chiudere a 284.

Da quando esiste il governo “giallo verde ansia”, lo spread non ha mai smesso di crescere: i 140 basis point di marzo 2018 sono ormai un lontano ricordo. Nonostante il presidente Mattarella abbia bloccato la nomina di Paolo Savona, noto per le sue posizioni contro l’euro, lo spread ha iniziato subito a salire, fino a raggiungere i 303 punti. La nomina al posto di Savona (finito al ministero ad hoc degli Affari europei, oggi presidente della Consob) di Giovanni Tria non è servita granché, soprattutto perché il ministro ha dimostrato di avere poco potere politico. Come tecnico fa fatica a resistere alle pressioni dei due vicepremier Di Maio e Salvini. Ambedue hanno una concezione particolare dell’interesse pubblico: intendono entrambi spendere risorse dei contribuenti per aumentare il loro consenso politico. La gara tra Lega e 5 Stelle è una sorta di sfida a chi spende di più. In un Paese come il nostro con un rapporto debito/pil al 132% è un azzardo che non ci si può permettere.

salvini

Come se non bastasse, nel mese di novembre, la mancanza di un accordo tra il governo e la Commissione europea sulla manovra di bilancio ha permesso allo spread di raggiungere un valore di 326,80 punti base. Da quel momento la situazione si è stabilizzata attorno ai 250 punti: questo ha generato un aumento della spesa per interessi per 1,5 miliardi di euro per i titoli già emessi, e alla fine dell’anno, con uno spread stabile a questo livello, si arriverà a pagare 4,1 miliardi in più rispetto a quanto avremmo speso prima delle elezioni.

La settimana scorsa la Commissione europea ha nuovamente abbassato le stime di crescita per il nostro Paese (dallo 0,2 per cento allo 0,1 per cento per il 2019, e dallo 0,8 per cento allo 0,7 per cento per il 2020) e lo spread ha ripreso ad aumentare, fino a superare i 270 basis point.

Luca Ricolfi, docente di Analisi dei dati presso la facoltà di Psicologia dell’Università di Torino, insieme alla fondazione David Hume e con il supporto della Compagnia di San Paolo e del Sole 24 Ore, ha elaborato la cosiddetta “equazione dello spread”, ossia un modello matematico attraverso il quale è possibile valutare la forza e la fragilità dell’economia di un Paese non più solo sulla base del deficit, ma soprattutto delle sue prospettive di crescita. La caratteristica principale del cosiddetto indice VS (Vulnerabilità Strutturale dei conti pubblici) è che non si basa su valutazioni soggettive (come potrebbe essere il rating assegnato dalle agenzie), bensì sul comportamento effettivo dei mercati dall’inizio del 2009 alla fine del 2016. Tale indice si interpreta come una stima del rendimento che il mercato chiederebbe se non ci fossero fattori di perturbazione come ad esempio la speculazione, le vicende politiche, la politica monetaria adottata.

Il confronto con la Germania è uno strumento imperfetto: esso, infatti, non tiene conto dell’evoluzione degli spread degli altri paesi, in particolare quelli con le caratteristiche più simili alle nostre, che possono muoversi in modo più o meno favorevole di quello italiano. Se confrontiamo i rendimenti italiani con la media di quelli spagnoli e portoghesi, si può notare che la traiettoria dello spread appare molto diversa: prima nettamente discendente (che indica un miglioramento dell’Italia), poi nettamente ascendente (che dimostra un nostro peggioramento). Questo cambiamento di traiettoria avviene esattamente tra venerdì 2 marzo e lunedì 5 marzo, ovvero in corrispondenza del voto. Ormai il rendimento dei titoli italiani supera sia quello dei titoli spagnoli, sia quello dei titoli portoghesi: ciò non sarebbe un problema se i conti pubblici del nostro paese fossero in miglioramento, però purtroppo non è così. Con l’applicazione dell’indice VS, è possibile mettere in luce che – dopo un periodo favorevole che va dalla primavera del 2015 alla primavera del 2017 – ora la vulnerabilità dei nostri conti pubblici è tornata a crescere.

Se poi consideriamo la Grecia, la situazione appare ancora più grave: la differenza tra i rendimenti dei titoli decennali greci e tedeschi continua a ridursi (oggi è di circa 350,2 basis point). Se andiamo avanti così, pure Atene pagherà rendimenti più bassi dei nostri.

Alla gente dello spread interessa ben poco, ma nella realtà conta eccome: uno spread poco inferiore ai 290 punti base dovuto alla scarsa credibilità del governo comporta un costo spropositato per gli interessi.

Cari ministri, se lo spread non fosse così alto, quel miliardo e mezzo di euro già pagato dall’inizio del 2019 ad oggi avreste potuto impiegarlo per la scuola. Il 19,7% dei giovani in età lavorativa e il 26,36% degli adulti hanno una scarsa capacità di lettura; il 29,76% degli adulti in età lavorativa ha scarse competenze matematiche. Anche l’abbandono scolastico è molto diffuso: il 17,75% dei giovani sotto i 25 anni ha abbandonato la scuola prima di aver terminato le superiori e non sta proseguendo con nessun tipo di istruzione. Tra le motivazioni più frequenti che portano i giovani a smettere di frequentare la scuola troviamo la mancanza di strutture adeguate.

Quante scuole si possono realizzare ex novo con 4 miliardi di euro (buttati nello spread in 2 anni)? Portiamo l’esempio del nuovo Istituto comprensivo Paolo Baffi costruito a Broni negli ultimi anni grazie ai fondi sulla “Buona Scuola” del governo Renzi . Il sindaco promotore del progetto Luigi Paroni – a cui è succeduto Antonio Riviezzi – spiega che con un mutuo di circa 1,5 milioni di euro e altri 5 milioni a fondo perduto, combinati con una politica di riduzione della spesa corrente (3,5 milioni), si è realizzato in due fasi un edificio scolastico bellissimo, degnamente intitolato al governatore Baffi della Banca d’Italia nativo di Broni. Con 4 miliardi si costruiscono 800 nuove scuole da 5 milioni di euro l’una. In presenza di strutture scolastiche spesso fatiscenti, vi pare un risultato di poco conto?

Twitter @beniapiccone