Autonomia differenziata: quali sono i (veri) rischi?

scritto da il 15 Febbraio 2023

Sono quasi sei anni che si discute di autonomia differenziata, ma per la prima volta c’è una maggioranza politica notoriamente più interessata all’argomento. Difatti, il tema era già ben presente nel programma elettorale del centrodestra.

Il disegno di legge preparato dal Ministro Calderoli è stato approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri e potrà ora iniziare il suo iter parlamentare. Occorre premettere che il Ddl Calderoli non è eversivo, non è un atto di secessione. Chi lo pensa, dovrebbe forse prendersela con il comma costituzionale da cui discende, perché la proposta di legge si muove entro quei limiti. Ciò premesso, vi sono diversi dubbi e perplessità.

Innanzitutto, l’iter è molto complicato. Coinvolge, a più riprese, il Governo, diversi ministeri, la Regione richiedente, la Conferenza Stato-Regioni e il Parlamento. Il tutto per arrivare alla stipula di un’intesa, che deve poi essere approvata a maggioranza assoluta dalle Camere.

Passando dalla forma alla sostanza, il Ddl pone due questioni fondamentali, fortemente intersecate tra loro.

1. Il finanziamento delle funzioni assegnate alla Regione richiedente l’autonomia differenziata

Secondo il Ddl, le risorse necessarie alla Regione richiedente per esercitare le nuove funzioni, verranno definite da una commissione paritetica Stato-Regione. La successiva intesa definirà le modalità di finanziamento delle funzioni attribuite, che avverranno attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturati nel territorio regionale.

Quanto sopra è in linea con il secondo comma dell’articolo 119 della Costituzione, ma pone una serie di interrogativi. È bene ricordare che le Regioni possono richiedere tante competenze. Chi ne ha voglia, dia un’occhiata all’importanza strategica delle materie in questione, riportate in nota[1].  Qualora tutte fossero contenute trasferite alla Regione richiedente, quanti miliardi di euro servirebbero per finanziarle? Si tratta di un’ipotesi, ma appare molto costosa. Di conseguenza, ci sarebbe una crescita del bilancio regionale ed un ridimensionamento di quello statale, per via della diversa allocazione del gettito fiscale.

Questo non è necessariamente un male. Una maggiore vicinanza della rappresentanza al territorio può aumentare, secondo alcuni studi, l’efficienza istituzionale. I cittadini potrebbero valutare da vicino l’adeguatezza dell’uso delle maggiori risorse a disposizione dell’ente. Premiando o punendo i governanti con l’arma del voto. Ma bisogna guardare oltre. Se il bilancio dello Stato si ridimensiona, come farà quest’ultimo a garantire i diritti su tutto il territorio nazionale? Non bisogna dimenticare, infatti, che le politiche redistributive sembrano muoversi da un territorio ad un altro (ad esempio da Nord a Sud, ricordate la polemica sui residui fiscali?). In realtà il movimento avviene tra individui, dai più abbienti ai meno abbienti.

La domanda sorge legittima. Riusciranno i conti a quadrare o lo Stato dovrà giocoforza rinunciare a gran parte delle sue politiche economiche e sociali?

Il ministro Calderoli

2. I celeberrimi LEP

Le preoccupazioni di cui al precedente paragrafo spingono il Governo a subordinare l’attuazione dell’autonomia differenziata alla definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP).

La determinazione degli stessi rappresenta una materia attribuita alla competenza esclusiva dello Stato. I LEP riguardano i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio della Repubblica. Nonostante tale principio, gli stessi non hanno mai visto luce, se non parzialmente (in sanità sono stati definiti i Livelli Essenziali di Assistenza, “LEA”).

Già nell’articolo 1 del Ddl Calderoli, comma 2, si legge che “ L’attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia (…) è consentita subordinatamente alla determinazione (…) dei relativi livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (…)” (enfasi aggiunta).

I LEP poi sono oggetto dell’articolo 3 del Ddl.  C’è subito un rinvio a quanto previsto dalla legge di bilancio approvata dal Parlamento sul finire del 2022. Nella stessa si prevede:

  • -la creazione di una Cabina di Regia (comma 792), con tutti i ministri interessati e rappresentanti di Regioni ed Enti locali;
  • – la determinazione, da parte della Cabina, dei LEP, entro sei mesi dall’approvazione della Legge (quindi entro giugno 2023);
  • – la predisposizione, sempre a cura della Cabina entro i successivi sei mesi, di uno o più schemi di DPCM che conterranno i LEP ed i costi e fabbisogni standard relativi alle materie di cui al terzo comma.

Qualora la Cabina non dovesse rispettare i termini, verrà nominato un Commissario per completare il processo. Per ciascun decreto, servirà l’intesa della Conferenza unificata (comma 796).

Tutto fuorché che semplice.

Tornando al Ddl, dopo l’intesa lo schema di DPCM sui LEP verrà trasmesso alle Camere per un parere. Il trasferimento delle funzioni aggiuntive alla Regione richiedente potrà avvenire solo previa definizione dei LEP e previo stanziamento delle coperture, qualora gli stessi ne richiedano.

La storia che si ripete?

Non per smontare le buone intenzioni dell’Esecutivo, ma non è la prima volta che si tenta di definire i famigerati LEP. Un tentativo fu fatto con la legge delega per l’attuazione del federalismo fiscale (Legge n. 42/2009) e con i suoi decreti attuativi. Ma, ad oggi, in diversi settori cruciali del nostro Paese, i LEP non hanno ancora visto la luce.

Il problema, in realtà, non riguarda solo la definizione dei LEP, ma anche le risorse finanziarie che servirebbero per la loro attuazione. Quanti miliardi servirebbero? La sensazione è che siano davvero tanti e che sarà difficile finanziarli, come si evidenzia in questo pezzo.

Un cane che si morde la coda

Lo Stato, per definire e per garantire i LEP in tutta la nazione, dovrà spendere molto. Per farlo, dovrà ridurre la spesa pubblica e/o aumentare le tasse e/o incrementare il debito. Politicamente ciò non è semplice.

Qualora riuscisse a farlo, il medesimo Stato, per attuare l’autonomia differenziata, dovrebbe diventare più piccolo, al cospetto di Regioni che diventerebbero più grandi da un punto di vista politico ed economico/finanziario. E qualora ciò avvenisse, lo Stato avrebbe meno risorse e forza politica per continuare a garantire i LEP lungo la penisola o per supportare la perequazione infrastrutturale. A quel punto, potrebbe sorgere la tentazione dello Stato medesimo di riappropriarsi delle funzioni trasferite, facendo naufragare la  riforma.

Come mitigare i rischi del progetto di autonomia differenziata?

Probabilmente occorrerebbe, sin da ora e già in sede di legge quadro, definire le materie che possono essere trasferite tramite intesa. Non sembra avere senso trasferirle tutte. Occorrerebbe limitarsi a quelle che, se trasferite, potrebbero essere gestite meglio ad un livello istituzionale più prossimo al territorio.

In un’epoca in cui l’Italia ha scelto di delegare alcune materie alla competenza sovrannazionale dell’Unione europea per ragioni di armonizzazione e per avere maggiore peso geopolitico, parrebbe azzardato trasferite tutte le competenze previste dall’articolo 116 ad una o più Regioni.

In secondo luogo, occorrerebbe già indicare quale sia la soglia massima di compartecipazione al singolo tributo erariale che le Regioni potranno ottenere in sede di intesa, al fine di tranquillizzare i cittadini sul fatto che lo Stato avrà comunque le risorse necessarie per assolvere alle sue funzioni non delegabili.

Senza tali accorgimenti, vi è il rischio che il progetto di autonomia differenziata naufraghi, che produca risultati poco convenienti per il benessere dei cittadini o che generi numerosi conflitti costituzionali tra Stato e Regioni.

Twitter @francis__bruno

 

[1] Articolo 117, comma 3, Costituzione: “Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.”