Trump e dazi: tregua fragile nel gioco globale. E le imprese?

scritto da il 28 Maggio 2025

Post di Lucia Iannuzzi e Paolo Massari, international trade advisors e co-fondatori delle società di consulenza doganale C-Trade e Overy

Lo scorso 2 aprile, il mondo ha assistito inerme allo show del Liberation Day di Trump, quello in cui il presidente degli Stati Uniti ha imposto i cosiddetti dazi reciproci. La furia daziaria del presidente USA si è scagliata indistintamente tanto su Paesi con cui aveva alleanze commerciali, più o meno mature – UE compresa – quanto su Paesi che a tali alleanze erano estranei, in ragione di un una non meglio identificata violenza tariffaria ricevuta dagli States dall’intero consesso globale.

Da allora, stiamo assistendo ad una de-escalation veloce tanto quanto lo è stata la follia delle politiche protezionistiche. I primi a godere di una tregua di 90 giorni sono stati diversi Stati già partner commerciali, tra cui proprio l’Unione Europea.

La prima tregua fra Trump e l’UE: una calma apparente

Dal 10 aprile, i dazi supplementari specifici previsti per ciascun Paese (ad eccezione della Cina e dei suoi territori amministrativi) sono stati sospesi e sostituiti con un dazio ad valorem uniforme del 10%, in aggiunta al dazio “general”. Non si tratta di una cancellazione definitiva, ma di una pausa strategica. Una tregua, insomma.

A tale gentilezza non si poteva rimanere indifferenti e, infatti, la UE ha deciso di congelare, per lo stesso periodo di 90 giorni, le misure preparate nelle settimane precedenti, oggetto di una consultazione popolare, destinata a far percepire a tutti gli operatori economici la tragicità del momento. Parliamo di un intervento daziario su prodotti americani, classificati in oltre 90 pagine di voci doganali e che comprendeva riso, tabacco, ceramiche, motoveicoli, autoveicoli e imbarcazioni da diporto, per un valore stimato di 21 miliardi di euro.

Ma non basta.

Il turno della Cina tra realtà e apparenza

Anche il nemico cinese, da colpire poiché impunemente resistente alla volontà statunitense, destinatario di dazi che superano il 150%, il tanto odiato presidente Xi Jinping, capace di reagire imponendo pari dazi ai prodotti USA, non è più tanto nemico.

Il 12 maggio scorso è arrivato l’annuncio di una tregua di 90 giorni con il Paese del Dragone, una sospensione dei dazi con effetto dal 14 maggio, che ha ridotto i dazi, imposti dagli USA con gli Executive Order 14257 del 2 aprile, 14259 dell’8 aprile e 14266 del 9 aprile, dal 145% al 30% (oltre i dazi IEEPA e Sezione 301).

Di contro, anche la Cina ha sospeso, dalla medesima data, le tariffe reciproche imposte agli USA, passando dal 125% al 10% originario. Un sospiro di sollievo per il mondo intero, ma soprattutto per il comparto tech, che già prevedeva un innalzamento dei prezzi finali del 30% su smartphone e computer.

Nonostante ciò, la sensazione è quella di una fastidiosa dicotomia tra ciò che è reale e la realtà che ci viene venduta da imbonitori improvvisati, politici interessati immuni dal pudore di nascondere le proprie marachelle alla comunità globale, considerata alla stregua di un gregge ignorante, che ignorante, al contrario, non è.

Accordi col Regno Unito: una triangolazione pericolosa

Qualche giorno prima, l’8 maggio è stata la volta del Regno Unito: in occasione dell’80° anniversario della Vittoria nella Seconda guerra mondiale, il presidente Trump e il Primo Ministro britannico Keir Starmer hanno annunciato un’intesa bilaterale.

Intesa, forse, è un termine eccesivo; diciamo che la Gran Bretagna, forte di un deficit commerciale con gli Stati Uniti, da cui acquista molti prodotti manifatturieri senza ricevere in cambio una contropartita adeguata, ha accettato uno pseudo-accordo tutto pro-USA: la Gran Bretagna si trova a pagare una tariffa minima all’esportazione negli Stati Uniti del 10% contro il 3% che pagava fino al 2023, oltre a limitazioni varie in settori produttivi diversi, automotive compreso. Beau geste ripagato dagli inglesi con una sospensione o riduzione daziaria su prodotti e servizi ben più numerosi rispetto a quelli omaggiati dagli Stati Uniti.

Ca va sans dire, la Cina non è soddisfatta di tale “accordo”, che mirerebbe a escluderla dal commercio con il Regno Unito in settori cruciali come il siderurgico e il farmaceutico, confermando così i timori di Xi Jinping è che Trump trami per isolare economicamente la Cina.

Doppio dietrofront di Trump con l’UE: follia o strategia?

Ma non è finita. Sempre sul canale ufficiale Truth, il 23 maggio Trump accusa l’UE di essere stata creata con l’obiettivo di approfittarsi degli USA nel commercio e di costare agli States oltre 250 milioni di dollari l’anno a causa delle ingiustificate barriere commerciali. La soluzione? Dazi del 50% dal 1° giugno.

Poi è bastata una cordiale telefonata con Ursula Von Der Leyen e pochi giorni dopo i dazi, magicamente, vengono sospesi fino al 9 luglio.

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Bandiere degli Stati Uniti e dell’Unione Europea e un’etichetta “tariffs” (dazi). REUTERS/Dado Ruvic/Illustrazione/

Schizofrenia politica? Folle narcisismo?

Ragioniamo. Nei giorni precedenti la minaccia dell’aumento dei dazi al 50% si era svolto il primo vertice UE-UK post Brexit, con ampia soddisfazione da entrambe le parti. Nel comunicato congiunto di fine meeting si legge, tra l’altro: “Abbiamo confermato i nostri principi condivisi per il mantenimento della stabilità economica globale e il nostro impegno reciproco per un commercio libero, sostenibile, equo e aperto, in linea con i nostri valori condivisi, nonché l’importanza della cooperazione con tutti i nostri partner commerciali per salvaguardare la resilienza della nostra catena di approvvigionamento e monitorare la deviazione degli scambi”.

“Riconoscendo il ruolo della WTO nel promuovere la certezza, la prevedibilità e le pratiche commerciali eque, continueremo a collaborare, insieme e con altri partner che condividono gli stessi principi, su come mitigare l’impatto delle fluttuazioni dell’ordine economico globale.[…]Abbiamo riconosciuto l’importanza della cooperazione transatlantica per affrontare le sfide globali, promuovere la crescita economica e garantire la pace e la sicurezza”.

Il metodo Trump: minacciare per ridurre il nemico a più miti consigli

Due giorni dopo, il 21 maggio, la Commissione UE presenta il proprio piano per rivitalizzare il mercato unico e abolire barriere alla libera circolazione delle merci, interventi di stampo liberista e di aperura alla cooperazione internazionale che mal si conciliano con gli ideali protezionistici trumpiani (nelle cui logiche rientra anche la minaccia di imporre un dazio di almeno il 25% sugli iPhone di Apple se l’azienda non inizia a produrli negli Stati Uniti).

Venerdì 23 maggio, il post anti-Ue su Truth. Che non è dunque espressione di pazzia congenita, ma solo un fulgido esempio del modo di intendere il potere, politico e commerciale, del presidente Trump: minacciare per ridurre il nemico a più miti consigli, accordarsi solo se conviene (Giappone docet). Purtroppo, così è e così sarà per i prossimi anni. Non resta che carrozzarsi per resistere agli urti del governo Trump.

Cosa accadrà dal 9 luglio?

Ciò che preoccupa davvero è l’assenza di risposta, la posizione inesistente della UE, destinata, in assenza di una presa di coscienza dei rischi che le aziende unionali corrono, come UK, a chiudere una specie di accordo sbilanciato verso gli USA.

Saranno pure un mercato importante, ma non meritano lo svilimento della propria dignità e l’oblio della propria storia. Senza dimenticare un elemento fondamentale: il 9 luglio si avvicina, cosa accadrà il giorno successivo? Quale dazio applicheranno gli USA ai prodotti UE importati? Il 20% proclamato al mondo il Liberation Day o il 50% minacciato via Truth, ma, al momento, privo di dignità giuridica?

Le aziende in attesa di certezze

Le aziende se lo stanno chiedendo, ed è giusto che anche la politica si ponga la stessa domanda e si impegni concretamente per trovare una soluzione a questo nodo cruciale. Se le cifre in gioco dovessero rivelarsi ben più elevate, con un impatto diretto e significativo sui prezzi di vendita – sui quali non sarà possibile riversare completamente il peso dei dazi – il rischio è quello di erodere o addirittura azzerare i margini in un mercato che, come già evidenziato, è di grande importanza.

Le imprese europee stanno aspettando: confidano ancora in una soluzione diplomatica, ma non possono permettersi di attendere all’infinito. Meritano rispetto, certezze e risposte concrete.