Covid-19 ed Euro, dal dibattito sui vincoli di Bilancio ai negoziati su Brexit

scritto da il 22 Maggio 2020

Autori del post: Mario Angiolillo, direttore dell’Osservatorio Relazioni EU-UK-USA di The Smart Institute. Esperto di tematiche geoeconomiche e di relazioni internazionali, svolge attività di advisory per diverse società con particolare riferimento agli impatti e alle opportunità offerte da Brexit; Flavio Menghini, fellow di The Smart Institute. Esperto di commercio internazionale e foreign direct investment, si occupa in particolare di relazioni esterne dell’Unione Europea e sviluppo sostenibile –

Non vi sono dubbi che il Covid-19 abbia stravolto il paradigma di riferimento dalla maggior parte delle attività economiche a livello globale, con conseguenze devastanti sulle economie nazionali e con stravolgimenti della vita quotidiana inimmaginabili fino a pochi mesi fa. La crisi attuale è, ancor più di quella finanziaria del 2008, una crisi dall’enorme impatto sociale, e ciò non solamente a causa dell’immenso dolore causato dalla perdita di moltissime vite umane, bensì anche delle sofferenze generate da delle restrizioni ad alcune libertà fondamentali cui nessuno avrebbe immaginato di poter acconsentire, se non forse in circostanze così straordinarie da apparire distopiche. Eppure, benché il costo umano già sofferto sia incalcolabile, i dati più recenti su contagi e vittime spingono ad essere prudentemente ottimisti per gli sviluppi futuri, diversamente da quanto possa essere detto per gli scenari economici, assai meno rassicuranti.

Questa crisi si inserisce in un quadro geopolitico già molto scosso da una guerra tecnologico-commerciale che, nonostante la firma della Fase Uno del nuovo accordo tra Stati Uniti e Cina, aveva lasciato un segno indelebile sull’economia globale nel 2019 e che rischia ora di accelerare le fratture tra i due paesi verso quella che molte autorevoli testate definiscono come una nuova guerra fredda.

Spostando l’attenzione dallo scenario globale a quello europeo, questa crisi da un lato va ad inasprire un dibattito sulle regole di bilancio nel quale l’Italia è, da alcuni anni, uno dei maggiori protagonisti del fronte mediterraneo, in contrapposizione ai paesi rigoristi del nord, guidati dalla Germania e da alcuni paesi della Nuova lega anseatica. Dall’altro si giustappone alle difficoltà sempre più evidenti che stanno riscontrando i team negoziali del Regno Unito e dell’Unione Europea, impegnati in una corsa contro il tempo per raggiungere un accordo commerciale per il quale servono solitamente parecchi anni.

Il dibattito sui vincoli di Bilancio
In relazione alle tanto discusse “regole d’oro” del Patto di stabilità e del successivo Patto di bilancio cui gli Stati Membri devono adeguarsi, la Commissione ha temporaneamente sospeso i limiti sul deficit in cui gli stati possono incorrere nonché i vincoli sugli aiuti di stato al fine di permettere agli Stati Membri di affrontare l’attuale crisi con tutti i mezzi necessari. In aggiunta alla flessibilità normativa della Commissione, anche BCE è intervenuta inaugurando un programma di acquisti di oltre 750 miliardi di Euro, così riconfermando ancora una volta l’impegno al “Whatever it takes” per tutelare l’Euro e l’Unione.

Ciononostante, la flessibilità e la rapidità d’intervento di cui hanno fatto prova la Commissione e la BCE – annoverabili tra gli organi più profondamente comunitari data l’indipendenza di Commissari e Membri del Comitato esecutivo dalle linee politiche nazionali – si sono scontrate con gli interessi particolari di cui gli Stati Membri sono portatori in seno al Consiglio Europeo. È in tale arena infatti che l’Unione Europea, priva delle necessarie competenze di politica fiscale, ha dato prova di macchinosità e lentezza decisionale in un momento in cui rapidità e risolutezza sono più che mai necessarie.

E mentre il Recovery fund esiste solo nel mondo delle idee, alcuni si interrogano sui meccanismi della solidarietà europea e sull’opportunità di rivalutare gli iter decisionali dell’Unione, soprattutto durante i periodi di crisi; altri, invece, si chiedono se questa sia l’occasione per riconsiderare la validità di alcune logiche di bilancio che hanno perso l’aura di sacralità che molti addebitavano loro all’indomani della crisi finanziaria.

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La complessità dei negoziati post-Brexit
Come anticipato, le difficoltà sul continente non si limitano ai contrasti in seno all’Unione Europea, ma si estendono alle complessità negoziali – e le ingenti conseguenze commerciali – concernenti il divorzio del Regno Unito. Benché il Paese d’oltre Manica abbia ufficialmente lasciato l’UE allo scoccare della mezzanotte del 31 gennaio scorso, i rapporti sono ancora retti dal quadro giuridico previgente secondo quanto previsto dal Withdrawal agreement, tale equilibrio tuttavia giungerà a scadenza naturale alla fine dell’anno.

Allo stato attuale i negoziati sulle relazioni nel post-Brexit sono stati rallentati, anche a causa del virus che ha contagiato sia il Premier Britannico che il capo dei Negoziatori UE Michel Barnier, ma non si sono interrotti. Ciononostante, le trattative bilaterali non hanno finora fatto registrare sviluppi positivi. A causa dell’emergenza coronavirus ci sono state solo due tornate negoziali invece delle previste cinque, e così non c’è stato tempo e modo di colmare il divario tra la posizione britannica e quella europea. In particolare, non sono stati fatti progressi su alcuni punti chiave come la cooperazione sulla sicurezza e la parità di condizioni su concorrenza e aiuti di Stato, sui diritti dei lavoratori e la tutela dell’ambiente, e sul settore della pesca.

I negoziatori britannici perseguono un accordo di libero scambio sulla falsariga del CETA, l’accordo che l’UE ha stipulato con il Canada dopo oltre sette anni di intensi negoziati. Il Regno Unito punta ad un accordo globale che non si limiti a regolare le questioni meramente commerciali ma tocchi molti altri temi, senza tuttavia voler accettare un’integrazione normativa estesa tanto quanto quella tra UE e Canada. L’obiettivo del governo di Sua Maestà è infatti quello di garantire al Regno Unito la più ampia flessibilità sulle proprie regole interne, mantenendo al contempo la capacità di negoziare, affrancata dai vincoli normativi dell’UE, altri accordi di libero scambio con Paesi terzi, come Usa, Giappone, Australia e Nuova Zelanda, con cui punta a rafforzare l’integrazione economica.

Dall’altra parte però l’UE richiede, come condizione per l’eliminazione di tariffe e quote, delle regole comuni e stringenti in materie quali la protezione dell’ambiente, gli aiuti di Stato, i diritti dei lavoratori, con l’intento di giungere ad un elevato grado di integrazione normativa tale da scongiurare la possibilità che Londra, una volta non più vincolata alle regole comunitarie, acquisisca un vantaggio competitivo nell’attrarre investimenti e partners commerciali da terze economie.

La prospettiva di raggiungere un accordo entro pochi mesi è sempre più evanescente. Benché l’attenzione della Gran Bretagna e dei 27 sia ora focalizzata sulla gestione dell’epidemia, tra poche settimane Londra e Bruxelles si troveranno a dover scegliere tra un probabile “no deal” oppure un’estensione del periodo di transizione. È infatti prevista la possibilità di un solo rinvio della data termine per un periodo massimo di due anni, tuttavia, secondo gli accordi in essere, tale decisione va presa entro e non oltre la fine di giugno di quest’anno.

Di certo bisogna rilevare come sia l’economia britannica che quella europea siano in forte affanno. Sul versante britannico della Manica è previsto, secondo l’Office for Budget Responsibility (OBR), un calo del Pil del 13% nel 2020 con un possibile indebitamento nell’anno fiscale 2020-21 che rischia di raggiungere i 298 miliardi di sterline, il maggior deficit di bilancio nella storia della Gran Bretagna dalla Seconda Guerra Mondiale. La situazione non è migliore per l’UE, ove le stime della Commissione prevedono per il 2020 un calo del Pil del 7.4%, marcatamente superiore a quello della crisi finanziaria, accompagnato da un deficit medio che si attesta sull’8.3%.

In questo contesto l’esito dei negoziati su Brexit sembra legato all’evolversi della gestione dell’emergenza Covid-19. Più durerà il lockdown più non è da escludere che si possa addivenire ad un allungamento del periodo di transizione, seppure prevedibilmente per un periodo inferiore al termine massimo di due anni. Anche se al momento la soluzione più probabile sembra essere uno scenario “no deal” con le relazioni commerciali tra Regno Unito e UE da realizzarsi secondo le regole del WTO.

Un convegno sulle opportunità attuali
È nel contesto istituzionale qui brevemente delineato che le piccole e medie imprese italiane ed europee si trovano ad affrontare le molteplici incertezze causate dall’attuale pandemia. Delle opportunità che questa peculiare congiuntura economico-sociale può offrire allo sviluppo di ancor più solide relazioni bilaterali tra Italia e Regno Unito si è discusso con autorevoli rappresentanti della Business Community e delle Istituzioni della City Londinese in un convegno promosso da The Smart Institute, cui hanno partecipato, oltre ai due autori di questa analisi, anche Pasquale Merella, presidente di The Smart Institute, Mark Wheatley, consigliere della City of London e amministratore di una società di consulenza della City, Maurizio Bragagni, Presidente dei British Italian Conservatives di Londra e CEO di Tratos Ltd e David Beer, consulente con una lunga carriera in Shell International.

Twitter @DottAngiolillo