Il capitale relazionale è la vera base per innovare oggi. Ecco perché

scritto da il 20 Settembre 2023

Post di Benedetto Buono, Founding Partner di Buono & Partners – 

Innovare è davvero così importante? La risposta a questa domanda è scontata ed è, certamente, si. L’innovazione è la linfa vitale che permette a qualsiasi organizzazione e, in ultimo, all’intera società umana, di continuare ad evolversi. In campo prettamente economico e manageriale, soprattutto gli ultimi decenni hanno ampiamente dimostrato come coloro che sono in grado di innovare veramente abbiano poi dominato il mercato di riferimento. Ciò è successo con le varie Apple, Microsoft, Sony, Tesla, etc.

L’innovazione, ovviamente, deve essere non fine a sé stessa, ma risolvere un problema – possibilmente in modo più economico, efficace ed efficiente rispetto a quanto fatto fino a quel momento – ed essere scalabile, difendibile e sostenibile. Tutti concetti, quelli appena ricapitolati, ormai dati per scontati in campo manageriale.

La domanda corretta da porsi, quindi, è probabilmente un’altra e dovrebbe indagare – ad avviso di chi scrive – più che altro su quale possa essere oggi la risorsa base, indispensabile, sulla quale costruire una strategia innovativa vincente. Anche in questo caso, si potrebbe essere portati a pensare frettolosamente che il capitale finanziario sia la risorsa indispensabile: in fondo, la massima “cash is king” è sempre valida e, in effetti, per molti decenni i conglomerati industriali e le aziende più importanti che potevano investire ingenti quantità di risorse finanziarie in ricerca e sviluppo erano anche coloro che dominavo il mercato, da 3M a Procter & Gamble.

Spoiler: non è il capitale finanziario, oggi, la risposta corretta

Il mondo, infatti, nelle ultime decadi è cambiato sempre più rapidamente e profondamente, e si sono affacciati attori nuovi come gli operatori di venture capital: quasi dalla sera alla mattina, l’innovazione non era più un affare esclusivo dei big name dotati di grandi budget. L’innovazione, magicamente, poteva avvenire anche in un garage popolato da qualche nerd con grandi ambizioni. Il mondo, quindi, nel frattempo è stato stravolto da accadimenti sempre più importanti, pervasivi e ravvicinati e anche l’innovazione ha continuato a correre in tutti i campi del sapere umano, con un ritmo sempre più veloce e non pianificabile a tavolino.

I flussi, di merci e persone, anche grazie all’avvento degli spostamenti di massa e delle tecnologie digitali, sono diventati interconnessi per definizione, rendendo il mondo un posto piccolo, uno small World. Si è iniziato a capire che quei garage potevano essere ovunque nel mondo e che anche le grandi corporate dovevano darsi da fare per non restare indietro e sparire: il modo migliore per farlo, per restare competitivi, era scovare quei garage e dialogare con loro al fine di continuare ad innovare. L’innovazione, di fatto, è ovunque e gli attori che contribuiscono ad immaginarla e realizzarla quotidianamente sono anch’essi ovunque: in tale contesto, l’abilità e la lungimiranza strategica e operativa di far leva su tale verità sono state alla base della formulazione del paradigma dell’Open Innovation, la celebre innovazione aperta teorizzata da Henry Chesbrough in poi.

I soldi non sono un problema, quindi.

Forse, allora, dato che oggi tutto è tecnologia è proprio quest’ultima la risorsa base per innovare… oppure no?

Altro spoiler: no, neppure il capitale tecnologico oggi è la risposta corretta

Anche in questo caso, infatti, basta pensare alla facilità di accesso alle tecnologie digitali che è cresciuta in modo esponenziale negli ultimi anni. Prima, fino diciamo a vent’anni fa o anche meno, scrivere codice aveva un qualcosa di simil-alchemico. Oggi, si può programmare teoricamente qualsiasi cosa anche non sapendo scrivere neppure una riga di codice, attingendo con sapienza a intelligenze artificiali generative e approcci no-code. Il costo di acquisto, accesso e gestione di qualsiasi tecnologia è scesa o sta scendendo rapidamente ed è un trend inarrestabile. Questo non è vero soltanto a livello software ma anche a livello hardware: si pensi al movimento dei maker che, con una stampante 3D, possono costruire qualsiasi cosa, perfino della (quasi) succulenta carne sintetica. Di fatto, il capitale tecnologico è diventato una commodity, disponibile ed accessibile ovunque da chiunque e non risiede più, esclusivamente, nelle segrete delle grandi corporate globali.

Capitale

(Ap)

Dunque, ricapitolando: l’innovazione non ha più come risorsa base il capitale finanziario ma neppure quello tecnologico… dove è quindi da ricercare? Spoiler: è molto semplice – nelle persone – come di fatto è sempre stato perché, in ogni caso, qualsiasi progresso nasce da un pensiero generativo e creativo, una prima scintilla. Tuttavia nessuno, da solo, nel complesso mondo contemporaneo, può pensare di farcela e, quando e se ciò accade, appare soltanto come l’eccezione che conferma la regola. Qualsiasi innovatore, anche il più geniale, ha bisogno di altri, degli altri. Ecco, quindi, che la risposta “nelle persone” data qualche riga fa, assume subito un significato più tondo e ricco se declinata nell’accezione di rete e, di conseguenza, di capitale relazionale.

È il capitale relazionale la risorsa base per innovare, oggi

Non potrebbe, d’altronde, essere diversamente, in un mondo iperconnesso, interconnesso, liquido e mutevole come quello che viviamo, nel quale non ha più molto senso parlare di competizione ma conviene parlare di coopetizione. Coopetere con qualcuno vuol dire, in altre parole, che occorre dialogare e relazionarsi anche con i competitors e che, anche tramite quel tipo di relazione, può nascere qualcosa di buono e nuovo.

Qualsiasi stakeholder, oggi, è potenzialmente utile a generare innovazione, costruendo, attivando e utilizzando, in maniera strategica e strutturata, il capitale relazionale che risiede all’interno di qualsiasi organizzazione, indifferentemente dalla propria dimensione, dal grado di sviluppo o dal business che produce. Occorre approcciare il capitale relazionale al pari delle altre tipologie di capitale menzionato, quello finanziario e quello tecnologico, provando a ragionare sul fatto che possa e debba essere pianificabile e misurabile, con un proprio ROI (Return On Investment) e dei propri framework di riferimento da seguire al fine di – per restare nel gergo degli innovatori – non inventare ogni volta la classica ruota.

Bisognerebbe studiare e insegnare a manager e imprenditori il nesso tra il capitale relazionale di cui dispongono e l’innovazione aperta che possono generare, conseguendo, di fatto, un successo di mercato non altrimenti raggiungibile. Peccato che, al netto di svariate pubblicazioni scientifiche per addetti ai lavori, non esistano molti libri manageriali con taglio divulgativo a riguardo.

Fino ad oggi. A breve sarà pubblicato un testo dedicato proprio a questo argomento di frontiera, che chi scrive ha avuto il piacere di cofirmare con un grande accademico e amico, il professor Federico Frattini della POLIMI Graduate School of Management. Uno che, insomma, di innovazione se ne intende.

Stay tuned, come scrivono quelli bravi.