Il migliore amico di mio figlio è italo-cinese. E, credetemi, anche questa è economia

scritto da il 12 Settembre 2015

Su immigrati e immigrazione in questi giorni si è scritto molto. Inutile tornare su foto ad effetto o commenti a sproposito che spingono l’opinione pubblica ad oscillare come un pendolo tra rabbia e compassione senza riuscire a fermarsi, a definire una rotta. Il sentimento però che provo sempre di più nell’affrontare il tema è quello di un forte imbarazzo. Gli immigrati ci costringono a specchiarci nei nostri difetti e questo ci infastidisce (dovrebbe farlo) soprattutto perché da anni ormai non riusciamo a risolverli. Questi poveretti arrivano sui barconi e ad ogni sbarco mi ritrovo a pensare che:

– Abbiamo sbagliato politica estera (sempre sperando di averne mai avuta una);

– I nostri marinai (civili e militari che siano) li portano in salvo e non ricevono in cambio medaglie ma critiche;

– Tra chi arriva ci sono sicuramente criminali mischiati a poveracci ma noi non riusciamo a distinguerli, non riusciamo ad identificarli, non riusciamo a far rispettare la legge agli italiani figuriamoci agli altri;

– Le strutture di accoglienza in alcuni casi lucrano e sono controllate dal malaffare ed il fenomeno del caporalato trova nuovo ed insperato vigore (ma è un problema nostro che ormai abbiamo perso il controllo del territorio).

Tra chi arriva c’è pure qualche delinquente? Certo, qui non lo nega nessuno come non nego né affronto con leggerezza il problema dell’integrazione tra la nostra cultura e quella islamica ancora così reticente nel condannare l’estremismo. Oltre a porci il problema di come integrare e far dialogare due culture dovremmo però provare a porci il problema di quale modello offrire e se il nostro esempio ed i nostri risultati siano o meno coerenti.

Dimentichiamo inoltre di confrontarci con un problema se possibile ancora più complesso. Se gli immigrati nell’immaginario di molti sono brutti, sporchi e cattivi è sicuramente colpa dei flussi migratori e della nostra posizione geografica, ma anche, molto, del fatto che non sappiamo attirare quelli alti, ricchi e snelli. Dovremmo provare anche a ricordarci che i giovani laureati italiani stanno migrando massicciamente a Londra e temo non siano semplicemente spinti da un improvviso sentimento monarchico ma siano attratti da un sistema che consente loro di crescere, di apprendere, di fare impresa senza che tasse e burocrazia soffochino ogni iniziativa.

Perché questo Paese non riesce ad attrarre cervelli? Perché questo Paese non riesce ad attrarre imprese? Perché questo Paese non riesce a riattivare quell’ascensore sociale che consentirebbe di integrare più agevolmente anche gli immigrati sfruttandone le capacità senza subirli esclusivamente come problema?

Il migliore amico di mio figlio è un bambino di padre italiano e mamma cinese. A quattro anni gioca e si diverte esattamente come Tommaso ma oltre, ovvio, a parlare perfettamente italiano comprende il cinese ed inizia a formulare le prime frasi. È figlio dell’immigrazione? Certo, ma mio figlio dovrà correre per restare competitivo rispetto a lui. Spero che l’Italia riesca a valorizzare il talento di entrambi perché spetta a noi far crescere felici questi bambini. E credetemi non è retorica o una collezione di buoni sentimenti. È economia.

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