Affidare la competitività al costo del lavoro può nuocere gravemente

scritto da il 26 Giugno 2015

Le ultime statistiche dell’Ocse sul costo unitario del lavoro (Ulc) fotografano un aumento dello 0,5% in tutta l’area, nel primo quarto 2015, ma soprattutto confermano il trend crescente di questo indicatore.

Ricordo che l’Ulc è uno degli indici con i quali si misura la competitività. Non è l’unico, e neanche quello ritenuto più autenticamente informativo. Ma rimane il fatto che è l’indicatore in base al quale molti basano le proprie valutazioni sullo stato di salute di questa o quella economia.

Quindi se l’Ulc aumenta, vuol dire che le condizioni di competitività di un’economia sono peggiorate. Certo, l’Ulc aggregato dell’Ocse nasconde profonde differenze fra i vari paesi, che peraltro l’istituto parigino analizza con gran dispendio di grafici e analisi.

Ma per apprezzarli dobbiamo ancora fare un piccolo passo in avanti e comprendere meglio cosa sia esattamente l’Ulc.

La nota Ocse, a tal proposito è estremamente utile. Mi riferisco in particolare alla nota scritta in piccolo sotto il grafico in basso che analizza l’andamento congiunturale e tendenziale dell’Ulc. L’Ocse scrive che “Il tasso di cambiamento nel costo unitario del lavoro è approssimativamente uguale alla differenza fra il tasso di crescita delle retribuzioni per dipendente e il tasso di crescita del Pil per dipendente“.

Fonte: OECD Early Estimates of Quarterly Unit Labour Costs, giugno 2015

Fonte: OECD Early Estimates of Quarterly Unit Labour Costs, giugno 2015

In sostanza, se le retribuzioni crescono e il Pil non aumenta o rimane costante, vuol dire che l’Ulc aumenta. Se le retribuzioni crescono ma il Pil cresce ancor di più allora l’Ulc cala. E ciò, nel paradigma offertista che regge questa impalcatura teorica, vuol dire che è aumentata la mia competitività sul lato del costi.

Pur glissando sull’altra metà del cielo, ossia che serve pur sempre una domanda capace di apprezzare la convenienza della mia offerta, la metodologia per la costruzione dell’indicatore porta con sé che un’economia in stasi o in recessione sia una naturale candidata alla perdita della competitività. A meno che non intervenga in maniera sostanziale sulla crescita dei salari.

Se osserviamo l’andamento dell’Ulc (si veda il grafico) nell’Eurozona tra il 2000 e il 2015, osserviamo che fatto 100 l’indice del 2010, Grecia, Spagna e Portogallo sono ancora sotto quel livello di Ulc nel primo quarto del 2015. Ma notiamo altresì che questi stessi paesi hanno visto parecchio crescere l’indicatore dagli anni 2000.

La Grecia, giusto per riferirisi al paese più di moda in questi giorni, partiva da un livello inferiore di poco a 70 nel 2000, ed è arrivata a 100, ossia ha visto crescere il suo Ulc di quasi il 50% in un decennio. La retrocessione dell’Ulc greco, e quindi il complementare aumento di competitività, inizia nel 2012 e in due anni l’indice viene riportato sotto il livello ’90, da dove è risalito, dalla seconda parte del 2014, verso quota 90.

Della Germania si osserva invece che aveva l’Ulc più elevato nel 2000 e così è rimasto fino al 2005, quando è stata superata da diversi paesi. Fino a quando fra il 2011 e il 2012 l’indice è tornato a primeggiare e oggi sta sopra tutti, esattamente come era nel 2000.

Se ricordate come è stato costruito l’indicatore, ciò può voler dire che in Germania, sono cresciute le retribuzioni più della produttività (misurata come quota pro capite dei dipendenti del prodotto). E in effetti se guardiamo alla tabella contenuta nella release Ocse si vede che per tutto il 2014 la crescita dell’Ulc è stata positiva perché la crescita delle retribuzioni è stata sempre maggiore della produttività.

La cosa interessante è che questo trend non ha risparmiato praticamente nessuno. Nel confronto primo quarto 2014/primo quarto 2015 (si veda grafico), l’Ulc è stato negativo, ossia è diminuito, solo in Australia, Belgio, Repubblica Ceca e Slovenia. In tutti gli altri paesi è aumentato. Ergo, sono diventati meno competitivi.

In particolare nel primo quarto 2015, nota Ocse, c’è stata una robusta accelerazione dell’Ulc negli Stati Uniti (+1,3%), guidata dal calo della produttività (-0,8%), cui si è aggiunto l’aumento delle retribuzioni (+0,5%), pure se inferiore rispetto al quarto precedente.

La produttività del lavoro diminuisce anche in Gran Bretagna (-0,3%), dove però il calo delle retribuzioni (-1%) ha portato l’Ulc in basso (-0,7%). Al contrario in Giappone, sempre nel primo quarto, la crescita del prodotto (+0,8%) ha condotto a un -0,9% dell’Ulc.

Nell’Eurozona si segnala il notevole aumento dell’Ulc in Grecia (+1,8%) e soprattutto del Portogallo (+4,3%) “guidato dall’accelerazione delle retribuzioni”. Il livello più alto dal 2009.

Quindi i paesi che più hanno ridotto l’Ulc dopo la crisi sono gli stessi dove aumenta e quindi la competitività peggiora.

E ciò ci porta alla conclusione: la compressione dei costi per aumentare la competitività è un percorso che difficilmente può essere protratto a lungo, a meno di non immaginare scenari gravemente deflazionari.

Twitter @maitre_a_panZer