Salvare il marketing da se stesso (una proposta per il suo rilancio)

scritto da il 07 Luglio 2017

Pubblichiamo un post di Roberto Fedi, libero professionista con esperienza internazionale in management, value innovation e marketing strategico

Da una dozzina di anni sento sempre più spesso imprenditori e manager esprimere un lamento comune: gli investimenti in marketing rendono sempre di meno. Le cause possono essere le più disparate e dipendono dalle singole realtà aziendali e di mercato. Il fenomeno sembra tuttavia essere diffuso ed è stato rilevato presso aziende diverse: grandi e piccole, con sede in Italia e in altri paesi occidentali, e operanti in settori diversi.

Stranamente la questione è quasi assente nella letteratura e nei dibattiti di settore. Studiosi ed esperti preferiscono analizzare casi di successo, elaborare best practice o coltivare nuove tendenze. Anche gli addetti ai lavori, comprensibilmente, enfatizzano l’utilità del marketing (e quindi del proprio ruolo all’interno dell’azienda) e si associano volentieri a studiosi e giornalisti nel celebrare i propri successi.

Tale ottimismo è però in contrasto con l’insoddisfazione di imprenditori e top manager e con la frustrazione degli stessi dirigenti di marketing, i quali si lamentano spesso della scarsa considerazione di cui godono in azienda. Nel 2012 il gruppo Fournaise misurò che nel mondo l’80% dei CEO non si fida dei propri responsabili di marketing e non ne apprezza il lavoro. I motivi citati sono l’incapacità di comprendere la realtà finanziaria dell’azienda e di contribuire alla crescita del business (1).

Una delle poche voci critiche in ambito accademico, il Prof. Hennig-Thurau dell’Università di Münster, scrisse nel 2013 che il marketing “in molte imprese non è più una forza trainante” ed è stato “degradato a sotto-reparto d’interfaccia con l’agenzia di pubblicità” (2).

Anche la durata in carica dei responsabili di marketing riflette questa realtà. Uno studio della Spencer Stuart sui Chief Marketing Officer negli USA indica che la loro durata media è calata dal massimo di 48 mesi nel 2014 a 42 mesi nel 2016 (3). La stessa società mi ha confermato per email che una rotazione elevata è diffusa a livello internazionale – Italia inclusa.

Un’analisi della Korn Ferry negli USA dimostra inoltre come i capi marketing abbiano una longevità media inferiore a quella di altri membri di un comitato di direzione: circa quattro anni rispetto ai cinque di un direttore finanziario e agli otto di un amministratore delegato.

Fonte: Korn Ferry Institute, "Age and Tenure in the C-Suite", 14 febbraio 2017

Fonte: Korn Ferry Institute, “Age and Tenure in the C-Suite”, 14 febbraio 2017

Questo dato si ricollega al punto iniziale: la durata di un CMO è correlata all’andamento del fatturato – e lo è in misura maggiore rispetto agli altri membri del top management (4). Le cause ipotizzate da esperti di risorse umane possono essere riassunte in due gruppi:

1 il personale di marketing non è in grado di rispondere alle crescenti sfide del mercato (opinione solitamente espressa dai vertici aziendali);
2 le altre funzioni aziendali non seguono correttamente le indicazioni e gli stimoli dei reparti di marketing (posizione tipica dei responsabili di marketing).

Per affrontare questa crisi, esperti e operatori non mettono in discussione il modello del marketing ma tendono a reagire con iniziative tattiche. Ad esempio:

l’insistenza sullo sviluppo della marca (meglio se appellata “brand“) come miracolosa generatrice di scelta, fedeltà e valore;

gli esercizi sull’identità visiva aziendale o di marca (i famosi “nuovo logo” o “nuovo sito”);

la caccia a effimeri e spesso inaffidabili indicatori di coinvolgimento sui social media;

le sindromi quali il content marketing e lo storytelling – tentativi, spesso maldestri, di adattare tecniche tradizionali all’ecosistema dei social media;

gli esperimenti con tecnologie di analisi (big data, CRM) e automazione (programmatic marketing).

L’ipotesi che vorrei avanzare è più radicale: il concetto di marketing ha perso per strada la sua definizione originale. Esso tende infatti a:

privilegiare la comunicazione, l’acquisizione e la fidelizzazione dei clienti;

trattare in modo subordinato le politiche di distribuzione e di prezzo;

trascurare la formulazione dell’offerta.

Questa prassi appare in netto contrasto con il concetto stesso del marketing, secondo il quale la domanda deve orientare le decisioni aziendali su prodotto, prezzo, distribuzione e promozione. Queste “variabili di marketing” (le celebri “quattro P”) e la centralità del cliente in tali decisioni furono illustrate nel 1960 da Jerome McCarthy in un semplice, ma sempre efficace, diagramma (5):

diagramma

Per chiarire la portata rivoluzionaria di questo concetto, già nel 1965 Philip Kotler scrisse chiaramente: “Il (nuovo) concetto di marketing sostituisce una più vecchia impostazione commerciale, secondo cui una impresa deve riuscire a vendere tutto ciò che essa fabbrica. Il nuovo concetto di marketing inverte i termini della questione e richiede all’impresa di fabbricare ciò che essa può vendere. Esso comporta la ricerca di aree in cui esistano desideri del consumatore (attuali o potenziali) insoddisfatti” (6).

Tutte le variabili del marketing sono trattate nella letteratura, a partire dal classico Marketing Management di Philip Kotler (1967). Eppure la dissociazione fra concetto e pratica è diffusa.

Ad esempio, per l’American Marketing Association “il marketing è l’attività, l’organizzazione e i processi per creare, comunicare, fornire e scambiare offerte che generano valore ai consumatori/utenti, agli acquirenti, ai partner e alla società in generale”. Le attività dell’associazione si concentrano tuttavia sulle funzioni promozionali e trascurano le strategie di prodotto, prezzo e distribuzione – come illustrato, ad esempio, nel loro Marketer’s Toolkit.

schemagrafico

Analogamente, prodotto e prezzo sono inclusi nella definizione di marketing del Chartered Institute of Marketing britannico, ma scompaiono nei contenuti trattati dallo stesso istituto.

Tale contraddizione è stata evidenziata da manager qualificati e con esperienza internazionale come Tina Müller e Hans-Willi Schroiff, i quali hanno criticato il marketing inteso come “impiego di trucchi di psicologia comportamentale per il consapevole inganno dei consumatori”, rivalutandolo invece come “funzione centrale di guida di un’impresa per l’identificazione e la soddisfazione dei bisogni dei clienti”. (7)

La questione ha implicazioni fondamentali per il business. Il marketing fu concepito come reazione alla sovrabbondanza di offerta e alla crescente concorrenza. Negli anni settanta e ottanta era ancora possibile rilanciare in modo sostanziale le vendite di molti prodotti e servizi attraverso riposizionamenti di marca e campagne pubblicitarie. Da allora la situazione in molti settori si è aggravata su quasi tutti i fronti:

i concorrenti sono spesso più grandi, più presenti a livello internazionale e con competenze sempre più elevate;

i prodotti e servizi si sono evoluti e tendono a competere sulle stesse caratteristiche e funzionalità, perdendo differenziazione nei confronti della concorrenza;

le marche sono diventate sempre più evolute e attraenti per i target group più diversi;

i canali di comunicazione sono proliferati, mentre i pubblici sono sempre più frammentati e agiscono ormai come emittenti e influenzatori di massa;

in Italia, in particolare, le aziende affrontano una crescente compressione della domanda.

Gli elementi “promozionali” del marketing mix restano ovviamente importanti, ma dovrebbero essere privilegiati in presenza di tre condizioni fondamentali:

1 il mercato di riferimento è ampio o in crescita;

2 la propria offerta è rilevante per il target group di riferimento;

3 la propria offerta è diversa o migliore della concorrenza.

In assenza di una di queste condizioni è necessario ripensare la propria strategia partendo dal target group e dall’offerta. Per “offerta” non intendo solo il prodotto o servizio principale, ma anche:

i servizi accessori che completano e arricchiscono il valore creato dal prodotto principale;

le modalità di accesso e utilizzo del prodotto e dei servizi accessori in tutte le fasi di esperienza del cliente;

le politiche di prezzo, i modelli di acquisizione e di pagamento.

Un modello corretto prevede il riposizionamento del marketing come funzione di indirizzo strategico delle unità di business. La sua applicazione richiede interventi impegnativi quali:

ampliare le competenze dei dirigenti di marketing per includere la gestione delle variabili trascurate (prodotto, distribuzione e prezzo);

riordinare i processi interni per orientare il marketing mix intorno ai bisogni dei clienti;

definire il ruolo di guida del marketing senza necessariamente rimpiazzare le altre funzioni (es. finanza, sviluppo prodotto, produzione, logistica, vendita, comunicazione).

Questo cambiamento è necessario per sanare e rilanciare seriamente un business: reintegrare il “prodotto” nel marketing consente di migliorare l’orientamento alla domanda nello sviluppo dell’offerta, incrementare l’utilità ai clienti e, di conseguenza, ottenere una maggiore efficacia nelle attività promozionali a parità di investimento.

Twitter @RobertoFedi

NOTE

1) The Fournaise Marketing Group, “80% of CEOs Do Not Really Trust Marketers”, 10 luglio 2012: https://www.fournaisegroup.com/ceos-do-not-trust-marketers/

2) Thorsten Hennig-Thurau, “Die Krise des Marketings”, Harvard Business Manager, Hamburg, giugno 2013, pp. 93-97.

3) Spencer Stuart, “Chief Marketing Officer Average Tenure Drops to 42 Months”, marzo 2017, www.spencerstuart.com/who-we-are/media-center/chief-marketing-officer-average-tenure-drops-to-42-months

4) Pravin Nath, Vijay Mahajan, “Shedding light on the CMO revolving door”, Journal of the Academy of Marketing Science, January 2017, Volume 45, Issue 1, pp. 93-118.

5) E. Jerome McCarthy, Basic Marketing. A Managerial Approach, Richard D. Irwin, Homewood, Ill., 1960, p. 45.

6) Philip Kotler, “Diagnosing the Marketing Take-over”, Harvard Business Review, nov.-dic. 1965, p. 70 e segg. Traduzione ripresa da Giorgio Corigliano, Marketing. Strategia e tecniche, Etas Libri, Milano, 1967, p. 11.

7) Tina Müller, Hans-Willi Schroiff, Warum Produkte Floppen. Die 10 Todsünden des Marketings, Haufe, Freiburg i.B., 2013, p. 17.