Investire in una formazione universitaria: dove e perché

scritto da il 29 Giugno 2020

Post di Eleonora Maglia, giornalista. Eleonora svolge attività di ricerca e pubblicazione per il Centro di documentazione Luigi Einaudi di Torino –

La recente pubblicazione della Qs Word University Rankings che seleziona le migliori 1000 università nel mondo e il periodo di esami di maturità offrono l’occasione di ragionare sull’opportunità di investire in una formazione universitaria in Italia.

Cosa rende un’università un investimento interessante per il proprio futuro? Secondo la classifica Qs citata, un’università offre un insegnamento di livello se soddisfa un certo numero di aspettative, valutate in termini di capacità di innovare e di internazionalizzarsi, ovvero produrre risultati utili allo sviluppo dell’economia e della società, anche grazie alla promozione di scambi culturali che assicurino la presenza di nazionalità diverse nei vari dipartimenti. Tutto ciò avviene attraverso la qualità della docenza (accademici produttivi, citati e premiati, nonché disponibili al confronto con gli studenti), l’opportunità di apprendimento anche extra-scolastico (ad esempio con strutture sportive e culturali), ma anche con l’attenzione ai valori sociali (come l’inclusività e la responsabilità civile). A riguardo, l’ottimo nel mondo è il MIT Massachusetts Institute of Technology di Boston e, in Italia, il Politecnico di Milano (al 137° posto nella classifica globale) che realizza tra l’altro dei risultati molto interessanti in termini di reputazione presso recruiter internazionali con il punteggio di 82.6 in Employer Reputation. Estraendo le facoltà italiane dai dati Qs, si ottiene un’ideale top ten nazionale dove, al Politecnico di Milano, seguono l’Università di Bologna (160°) e la Sapienza di Roma (171°), con alti punteggi per reputazione accademica. Oltre, l’Università di Padova (216°), l’Università degli Studi di Milano (301°), il Politecnico di Torino (308°), l’Università di Pisa (383°), l’Università degli Studi di Napoli Federico II (392°), l’Università Vita-Salute San Raffaele (392°), che ottiene 99.6 punti per il rapporto Studente/Facoltà e, infine, l’Università degli Studi di Trento (403°).

Obiettivo? STEM (Science, Techonology, Engineering and Mathematics)
Se complessivamente per Qs l’Italia è il settimo Paese più rappresentato a livello globale e il terzo in Europa (dopo il Regno Unito e la Germania), sono noti i fenomeni nazionali di sotto-finanziamenti alla ricerca e di cervelli in fuga, che probabilmente concorrono a spiegare perché il 26 per cento dei giovani tra i 15 e 29 anni pur inoccupato non è iscritto in un percorso di formazione e perché solo il 18 per cento degli italiani è laureato (Ocse, 2017, Education at a glance). Va detto che, oltre a valutare la qualità dei luoghi di studio (secondo una ricerca di Nature un quinto dei PhD dichiara di aver subito episodi di molestie, discriminazioni o bullismo) e a promuovere esperienze di lavoro durante gli studi (in flessione di 10,3 punti percentuali in 10 anni secondo i dati AlmaLaurea), andrebbe chiarita l’importanza di selezionare corsi di studi legati ai bisogni emergenti dell’economia. Conta orientarsi quindi verso studi scientifici, soprattutto in Italia dove la percentuale di laureati in materie umanistiche è la più alta tra i Paesi Ocse, anche se a riguardo sono già interessanti i progressi di genere, con numeri crescenti di iscritte a biologia, matematica e statistica (tra i laureati STEM-Science, Techonology, Engineering and Mathematics nel 2018 le donne sono state il 41 per cento).

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Studiare paga?
A un anno dal conseguimento dal titolo, il 74,1 per cento dei laureati di primo livello lavora (AlmaLaurea, 2020, XXII Indagine condizione occupazionale dei laureati) e, a cinque anni, la percentuale sale fino all’89 per cento, inoltre i dati Istat confermano che il tasso occupazionale è superiore per chi possiede un titolo di studio universitario (+8,4 per cento). A conferma dell’opportunità di un investimento in STEM, risulta che i laureati scientifici hanno maggiori opportunità lavorative, soprattutto se si sono formati in campo economico-statistico (94,8 per cento) o in ingegneria (94,6 per cento). Anche le retribuzioni mensili nette premiano chi si pone un obiettivo di studi in campo scientifico che, a cinque anni dal titolo, in media arriva a percepire 1.571 euro (contro i 1.350 euro dei laureati non STEM) e, complessivamente tutti gli occupati ritengono le lauree STEM ”efficaci o molto efficaci”.