Turismo alle corde, ecco 3 azioni da attivare subito

scritto da il 02 Gennaio 2021

Pubblichiamo un post di Raffaello Zanini, fondatore del portale Planethotel.net. Laureato in urbanistica, assiste gli investitori del settore turistico alberghiero con studi di fattibilità, consulenza ai progettisti, ricerca di soluzioni finanziarie –

Leggendo quanto trapela del Recovery Plan sembra che il turismo non rappresenti il 13% del PIL.

Da troppi anni alla guida del nostro paese (e di molte regioni) abbiamo avuto politici inetti (con rarissime eccezioni di breve durata), imprenditori che hanno confidato più sull’arricchimento speculativo che nella strategia di lungo corso, sostenuti da banchieri che hanno sprecato il denaro dei loro azionisti.

Poi è arrivata questa crisi maledetta, che ha colpito il turismo (l’economia) nel momento in cui le cose stavano tornando ad essere positive, dopo lunghi anni di lenta ripresa seguiti al 2009-2011.

Ed oggi i dati sono nuovamente preoccupanti, anche se nel 2020 a detta di Luca Martucci siamo andati meglio di Francia e Spagna.

I numeri: Confcommercio stima in 390.000 aziende chiuse nel 2020. Molte nel settore dei servizi ristorativi e alberghieri.

“L’emergenza sanitaria, con tutte le conseguenze che ne sono derivate, restrizioni e chiusure obbligatorie incluse, ha acuito drasticamente il tasso di mortalità delle imprese che, rispetto al 2019, risulta quasi raddoppiato per quelle del commercio (dal 6,6% all’11,1%) e addirittura più che triplicato per i servizi di mercato (dal 5,7% al 17,3%)”.

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Banca d’Italia misura la probabilità di default delle imprese nello stesso settore, cresciuta al 6%: il resto lo farà la stretta creditizia derivante dall’applicazione delle norme dettate dall’Eba, l’autorità bancaria europea, che, dopo tre mesi di mancati pagamenti da 100 euro in su, impongono alla banca di segnalare il cliente alla centrale rischi e di classificare tutta la sua esposizione come «crediti malati».

La domanda che tutti ci stiamo facendo è: quali abitudini, quali comportamenti indotti dalla pandemia sono destinati a restare e quali invece le conseguenze sui nostri viaggi dopo il probabile ritorno alla normalità a seguito della diffusione del vaccino?

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Ovviamente molte variabili sono ancora sconosciute, ma dobbiamo iniziare a ragionarci, almeno per decidere come orientare gli investimenti pubblici e privati dei prossimi mesi ed anni.

È noto, ma lo ribadisco forte, che non mi aspetto nulla di buono da parte di chi oggi guida il paese, siano essi politici che dirigenti: una “rinascita” sarà possibile solo con un cambiamento delle persone di governo, ed anche di imprese nuove che prendano la leadership del settore.

2021: I TEMI

Questo lungo periodo di inazione obbligata ci ha portato a riconsiderare alcuni fenomeni, su cui peraltro già prima del 2019 la riflessione era stata avviata

– La follia della folla
La pandemia ha mostrato tutta la debolezza di un turismo basato sulla folla. L’ultima manifestazione davvero importante prima del lockdown di marzo è stata la domenica di Carnevale a Venezia con migliaia di turisti ammassati nelle calli. Già allora il comune lagunare stava valutando barriere e biglietti di ingresso per limitare l’accesso di turisti.

Questo è uno dei primi punti che le destinazioni turistiche dovranno considerare, anche perché, come ho ripetutamente scritto l’overtourism non fa bene al turismo.

– Long stay vs short stay
I viaggi low cost, gli AirBnB, le prenotazioni last minute, una popolazione giovane (fino a 40 anni) senza figli, hanno favorito viaggi brevi. (Ne parlava Robi Veltroni)

Quando nel 2022 si supererà questo picco pandemico, e il vaccino farà il proprio dovere, ci sarà la crisi economica a frenare il mondo del viaggio.

Per un po’ le compagnie aeree low cost si troveranno in difficoltà, i prezzi dei biglietti saranno superiori a prima del 2019, e minore il numero di persone che viaggia. Torneranno di moda i viaggi brevi verso destinazioni nazionali. In alternativa per pochi prenderà piede un fenomeno di cui si vedevano i primi sintomi da qualche anno: lavoro e vacanza assieme.

– Il fenomeno dei meeting on line
Qui mi sento di scommettere: dopo essere stati chiusi in casa o in ufficio per oltre un anno, torneranno prepotenti i meeting in presenza. Ovviamente oggi abbiamo imparato a usare gli strumenti web, così ai convegni parteciperanno meno persone, e altre saranno collegate via “Zoom”. Le telefonate saranno sostituite da videochiamate.

E anche le riunioni saranno limitate a quelle più importanti.

Questo apre un nuovo capitolo.

– Business vs Leisure
La motivazione del viaggio tende a cambiare. Se prendiamo le mosse da questa immagine che è datata 2004, la separazione tra viaggio leisure e viaggio business tende a cambiare dopo la pandemia del 2020. Chiunque lavori (o studi) il settore turistico conosce “perché” la gente viaggia. Ogni destinazione o proposta tende a dare una specifica risposta ad un bisogno.

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Credo che dopo il 2020 la distinzione tra business e leisure sarà sempre meno importante. Le strutture alberghiere e le destinazioni turistiche dovranno adeguarsi al nuovo che si impone. Serve più spazio, più silenzio, e più connessione internet, e una destinazione viva tutto il tempo dell’anno.

Più spazio perché il viaggio sarà sempre più leisure e business insieme (anche quello in città): potendo lavorare da remoto, o studiare da lontano, le famiglie (di due o tre persone) potranno fare viaggi più lunghi, fermandosi per più tempo.

Servono strutture più silenziose, per permettere a chi lavora di non essere disturbato. E serve più connessione che permette di lavorare da remoto. Tra i servizi il ristorante sarà imprescindibile. Ma anche una gamma ampia di servizi “urbani” anche nelle località non urbane. Una destinazione viva sempre, per questo clima e raggiungibilità e buzz sono essenziali.

– L’albergo diffuso
Sull’albergo diffuso non mi sono mai espresso, ma credo sia giusto dica forte il mio dissenso.
Non dico che non sia una bella idea, ma è un’idea che non può essere proposta come standard.

L’albergo diffuso è un bel tema da convegno, ma non può dare vita a cospicui investimenti e non può produrre il fatturato che serve al turismo italiano. Per questo non deve essere privilegiato da contributi dello stato, necessariamente a pioggia.

Il costo del personale in Italia è troppo alto: così se in India un hotel 5 stelle di 100 chiavi ha 450-500 dipendenti, in Italia ne ha solo 110-120.

L’albergo diffuso richiede un grande investimento per la ristrutturazione “sostenibile” della struttura, e troppi soldi per la gestione. Va riservato a pochissime località. E’ una nicchia nella nicchia. Per parlarne si dovrebbe passare dai discorsi romantici, a valutare i bilanci delle 100 strutture accreditate.

TRE AREE DI INVESTIMENTO

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Secondo una ricerca Skift il turismo che vincerà nei prossimi anni avrà le seguenti caratteristiche:

– Hotel con brand riconoscibile (economy o lusso)

– Il turismo leisure, mentre in calo quello business

– Long stay (aparthotel)

Vediamo allora secondo me quali sono le tre aree su cui si dovrebbe investire per permettere una ripartenza del turismo italiano.

Sono aree in cui dovrebbero investire i privati, e da cui lo stato dovrebbe ritirarsi. Ho già detto del mio pessimismo verso questo governo. Se ci fosse un nuovo governo che avesse come obiettivo quello di favorire per davvero il turismo ecco su cosa dovrebbe togliere i freni.

1) Formazione 
Servono una o più scuole di formazione per dirigenti turistici, ma soprattutto direttori (e direttrici donne) d’hotel.

Il turismo, e la gestione alberghiera, sono attività che richiedono molta forza lavoro qualificata. Per gestire un’azienda come un hotel non basta essersi fatti le ossa sul campo, nel 2020 serve anche aver studiato.

I dirigenti devono uscire da scuole impegnative e a tutto tondo di livello universitario, anche se con una preparazione settoriale specialistica.

Per gestire poi un gruppo, una catena alberghiera le competenze devono essere ancora maggiori.

Lo Stato non entri in questo business. Ne stia fuori.

Metta a disposizione alcuni strumenti, ma sia il mercato a decidere le scuole migliori, quelle i cui “laureati” vengono preferiti.

So che qualcosa si muove, ma ancora una volta con quell’atteggiamento statalista e antimeritocratico che ha segnato le iniziative di questo governo (e di altri che hanno preceduto). Vedo un rischio di procedere per amicizie politiche/partitiche. Il rischio di perdere un’occasione c’è.

2) Dimensione e crescita di società di gestione
Nel settore alberghiero servono brand di dimensioni sovranazionali. Già oggi sono quelli che vincono, ma nel futuro questo avverrà sempre di più. Noi invece in Italia dei brand riconosciuti a livello globale non ne abbiamo.

Con la creazione di scuole per direttori altamente qualificati serve dare impulso alle società di gestione che li possono impiegare.

Non serve molto.

Serve togliere i problemi che la società di gestione italiana ha in Italia e che quella straniera non ha altrove.

Noto con piacere che architetti o dottori in economia si dedicano a tempo pieno alla professione di capo di una catena alberghiera. Sono ancora troppo pochi. Probabilmente si dovrà portare sede, e know how all’estero anche per le catene italiane, in modo che possano crescere nel mondo, aiutate da consulenti finanziari che stanno facendo crescere le start up di successo.

3) Solidità patrimoniale della proprietà immobiliare
Dobbiamo ammettere che dalla fine anni ’90 gli investimenti immobiliari nel turismo hanno continuato a perseguire gli stessi obiettivi “speculativi” dei decenni precedenti, nonostante in molti abbiamo indicato in anticipo i pericoli e gli errori.

Il risultato oggi è un patrimonio immobiliare inadatto, che ha perso di valore, in zone climaticamente a rischio (non più così interessanti per il turismo leisure), e immobili non “sostenibili”, che avrebbero bisogno di forti investimenti di manutenzione.

Le difficoltà finanziarie degli imprenditori più fragili possono portare anche a proposte da parte della criminalità organizzata.

Spesso troppo piccoli, hotel con standard di camere e servizi antiquati, richiederebbero di essere abbattuti e ricostruiti.

Perché dalle parole si possa passare al rinnovo della città turistica, servono operatori immobiliari di grande solidità. Ne scrivo dal 2009 (quando uscì il libro Hotel Experience del compianto Giacomo Rizzi per il quale scrissi l’introduzione, ancora oggi attuale).

Allora immaginavo: “Mediante la guida di operatori con finalità consortile/solidale come i Fondi Comuni di Investimento che vedano l’apporto delle aree e degli immobili da parte delle proprietà quale passo iniziale per dare vita ad un piano di sviluppo.” Non so se mai si sia fatto qualcosa del genere in Italia, non credo. Bravi a fare chiacchiere, con strumenti complicati da gestire.

Liquidità in giro per il mondo ce n’è molta, spesso non trova la giusta collocazione, o non si orienta verso l’Italia perché lo Stato fa di tutto per tenere lontani gli investitori. Si può fare molto con pochissimi interventi. Comuni e Regioni devono smetterla di pensare al turismo come il settore da tassare, ma lo devono considerare come un settore che può dare fino al 20% del PIL e risolvere il problema occupazionale per chi non studia informatica o medicina.

Twitter @PLANETHOTEL.NET