Non solo spiagge: la concorrenza è un bene pubblico. Ma nessuno lo sa

scritto da il 11 Novembre 2021

Post di Antonluca Cuoco, marketing e comunicazione nel mondo dell’elettronica di consumo tra Italia e Spagna, e Beniamino Piccone, wealthmanager e docente alla Liuc Università Cattaneo –

Quest’estate, dopo la formidabile vittoria alle Olimpiadi in Giappone di Marcel Jacobs nei 100 metri, l’ex velocista giamaicano Usain Bolt ha detto: “Jacobs è forte e mentalmente solidissimo. Italia, wow!”. Per vincere, ci vogliono gli stimoli giusti. Nella sua autobiografia, Usain Bolt, Come un fulmine (Tre60 Tea Editore, 2014), scrive (o meglio, detta al suo ghostwriter Matt Allen): “Datemi un grande palcoscenico, una gara una sfida da vincere, e allora sì che faccio sul serio. Drizzo le spalle e accelero il passo. Sarei disposto a infortunarmi pur di vincere la gara. Piazzatemi davanti un ostacolo – magari un titolo olimpico, o un avversario difficile come lo sprinter giamaicano Yohan Blake – e io mi faccio avanti: divento famelico”.

Un passaggio del libro colpisce particolarmente: “Un grande atleta non può presentarsi ai blocchi di partenza e aspettarsi di vincere senza essersi preparato a dovere. Senza disciplina non si vincono medaglie d’oro e non si stabiliscono primati…Il peggior nemico di me stesso ero io”.

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Nel caso delle imprese il nemico è l’assenza di concorrenza. Omnitel in Italia non sarebbe diventata la costola fondamentale di Vodafone se non ci fosse stata l’incumbent TIM. E viceversa Mediaset è stata ampiamente danneggiata dall’oligopolio collusivo con la RAI.
La Banca d’Italia in diverse occasioni ha evidenziato l’urgenza di interventi strutturali volti a rafforzare la capacità di crescita dell’economia, potenziando il capitale fisico e umano del nostro Paese e accrescendo la concorrenza nei settori e attività in cui essa è insufficiente, segnatamente nel caso dei servizi pubblici locali.

Il presidente del Consiglio Mario Draghi, quando sedeva nella stanza dei bottoni in Bankitalia, intervenne nel 2007 (Dalla Ricerca all’innovazione per la crescita economica, 24.7.2007) per sostenere il valore dell’innovazione e della concorrenza:

“…la crescita di lungo periodo si sostiene con un elevato tasso di innovazione, che si alimenta e si realizza mediante un meccanismo di selezione e di ‘distruzione creatrice’ delle iniziative imprenditoriali. L’ingresso di imprese portatrici di nuove idee, prodotti, tecniche di produzione o modelli organizzativi spinge fuori dal mercato quelle incapaci di rinnovarsi e tenere il passo. La chiave del processo economico è perciò garantire che gli innovatori possano svolgere il loro ruolo e che non siano esclusi dal sistema produttivo”.

L’Ufficio studi di Banca d’Italia (Forni L., Gerali A., Pisani M., Effetti macroeconomici di un maggior grado di concorrenza nel settore dei servizi: il caso dell’Italia, Tema di discussione n. 706, marzo 2009) ha spiegato che i settori che producono servizi non commerciabili internazionalmente (commercio, trasporti e comunicazioni, credito e assicurazioni, costruzioni elettricità, gas, acqua, hotel e ristoranti) rappresentano circa il 50% del valore aggiunto italiano.

In questi settori il grado di concorrenza è relativamente basso. Barriere all’entrata, regolamentazioni sui prezzi garantiscono alle imprese potere di mercato, permettendo loro di applicare margini di profitto – markup – elevati rispetto ai costi. Sulla base delle simulazioni effettuate dai ricercatori, un aumento del grado di concorrenza che porti il markup nel settore dei servizi in Italia al livello medio del resto dell’area avrebbe effetti macroeconomici significativi. Nel lungo periodo il prodotto crescerebbe di quasi l’11%. I salari reali – al netto dell’inflazione aumenterebbero grazie all’ “effetto Wal-Mart”. È il principio dell’everyday low price, ogni giorno prezzi bassi, un vero e proprio «patto con il consumatore» di cui Wal-Mart si è fatto alfiere (per approfondimenti Fishman C., Effetto Wal-Mart – Il costo nascosto della convenienza, Egea Editrice, 2006).

La nuova legge sulla Concorrenza che il governo italiano ha approvato una settimana fa è senz’altro un buon segno. Erano anni che non si legiferava in tal senso. Ma c’è da essere delusi. Come ha scritto Alessandro De Nicola, permangono “privilegi invincibili” (cfr. “Quei privilegi invincibili”, Repubblica, 5.11.2021). Ci sono delle sacche di corporativismo che non si riescono a intaccare, a danno del consumatore.

Che cosa non si può toccare nel Belpaese? Le concessioni balneari (il contenzioso con la Ue dura da 15 anni) e i farmacisti. Gli affitti delle spiagge in concessione sono in molti casi ridicoli, ancora ancorati alla lira. Non c’è stato modo di adeguarli ai prezzi correnti. E l’evasione ha imperato indisturbata.

Da Bruxelles premono con rispetto: “È prerogativa delle autorità italiane decidere come affrontare il processo di riforma per le concessioni balneari – ha detto la portavoce dell’esecutivo Ue, Sonya Gospodinova -, per la Commissione è importante il contenuto non la forma di questo processo. Quindi è importante che le autorità italiane procedano velocemente per portare la propria legislazione in conformità con il diritto Ue e con la giurisprudenza della Corte di giustizia europea”. E così la procedura d’infrazione va avanti: chissà a quanti sarà chiaro che dovremmo esser grati quando l’Europa rinnova la richiesta di necessarie gare proprio per tutelare i consumatori italiani, così come le segnalazioni dell’Antitrust indicano costantemente.

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I farmacisti? Santi subito, per il popolo bue che non sa che all’estero un’aspirina costa un quarto che in Italia: “Non si liberalizza la vendita dei farmaci di fascia C da parte delle parafarmacie né si stabilisce esplicitamente che i farmacisti ivi impiegati possano fare i tamponi” (De Nicola, cit.). Perché un laureato in farmacia che lavora in una parafarmacia non può vendere dei farmaci che può vendere lo stesso laureato in una farmacia tradizionale? Boh. Mistero della fede.

Queste scelte, più o meno orientate alla concorrenza aperta e trasparente, hanno una diretta conseguenza sulla vita delle persone: pensiamo ai servizi pubblici locali ed a quanto siano il punto di contatto massimo tra cittadino ed ente pubblico. Ed al sud ciò ancor di più, in termini di efficienza dei servizi erogati oppure, al contrario, in termini di controllo del territorio e di rendite di posizione, troppo spesso fonte di clientelismo, a rappresentare nuove forme di feudalesimo territoriale.

Può il meridione cogliere nuove opportunità in questo mondo profondamente mutato con la pandemia conservando logiche perverse ed antimeritocratiche?

L’Italia si può concedere il lusso di sprecare occasioni per crescere di produttività ed offrire a lavoratori ed investitori un perimetro di norme trasparenti ed efficienti?

La cultura del servizio al consumatore è nel mondo la cultura del business e del successo, alzando sempre di più l’asticella, nel rispetto dei sempre nuovi bisogni dei consumatori.

L’economista Salvatore Rossi, già direttore generale della Banca d’Italia ha scritto: “In Italia abbiamo un disperato bisogno di concorrenza, soprattutto in alcuni settori, non aperti alla concorrenza internazionale. Da noi in molti settori dominano la rendita – definibile come l’extra profitto di chi sfugge al mercato concorrenziale grazie a una protezione di qualche tipo” – la protezione, gli albi, le barriere all’entrata, i minimi tariffari (Controtempo, Laterza, 2009, p. 88).

Sembra che la Commissione europea abbia esaurito la pazienza: e gli italiani?

Intanto è arrivata la lieta novella per cui dal 2024 le concessioni saranno assegnate tramite una gara. Lo ha deciso il Consiglio di Stato per consentire alla Pubblica Amministrazione di «intraprendere sin d’ora le operazioni funzionali all’indizione di procedure di gara», per «consentire a Governo e Parlamento di approvare doverosamente una normativa che possa finalmente disciplinare in conformità con l’ordinamento comunitario il rilascio delle concessioni demaniali».

 

Twitter:

@antonluca_cuoco

@beniapiccone

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