Crisi tra Cina e Taiwan, i microchip mettono d’accordo Biden e Trump

scritto da il 13 Gennaio 2022

Post di Raffaele Cazzola Hofmann, Senior Associate presso Strategic Advice. Giornalista pubblicista e autore di saggi, esperto di Asia orientale. Associate Fellow di The Smart Institute, ha svolto attività di ricerca a Taipei con il programma Taiwan Fellowship 2019 –

I primi giorni dell’anno sembrano confermare che anche nel 2022 l’isola di Taiwan sarà tra i dossier chiave del confronto strategico tra Cina e Stati Uniti. Il 6 e 7 gennaio, infatti, il primo vertice virtuale dell’anno tra i responsabili degli Esteri e della Difesa di Usa e Giappone si è concluso con una dichiarazione congiunta che ribadisce, tra le altre cose, l’importanza di “mantenere la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan” e di incoraggiare “la risoluzione pacifica dei problemi esistenti nelle Cross-Strait relations”. Concetti simili erano stati espressi anche in autunno in occasione del vertice bilaterale annuale tra gli Usa e l’Australia, entrambi intenzionati a “rafforzare i legami con Taiwan. La difesa di Taiwan dovrebbe essere il tema centrale del prossimo vertice annuale del QUAD, il Quadrilateral Security Dialogue a cui aderiscono Giappone, India e Australia al fianco degli Stati Uniti.

Mantenere la pace e la stabilità nello Stretto equivale a consentire a Taiwan, che pure non si è mai formalmente dichiarata indipendente e non gode di un livello ormai minimo di riconoscimento internazionale (fuori dal sistema ONU e riconosciuta da appena 12 nazioni più la Santa Sede), di continuare ad essere nei fatti un Paese sovrano. Quindi con un proprio passaporto, una propria moneta e un modello di sviluppo sociale ed economico del tutto peculiare nel quale, con il succedersi dei decenni e delle generazioni, si sono sciolti i legami con la Cina continentale. L’economia taiwanese è molto dinamica e nel corso degli ultimi due anni, grazie anche a politiche anti-Covid molto efficaci, ha contenuto gli effetti dell’emergenza epidemica. L’Academia Sinica, il maggiore centro di ricerca taiwanese, stima che nel 2021 la crescita economica taiwanese su base annua sia stata del 6 per cento.

Sul fronte cinese, la posizione su Taiwan è del tutto opposta. Le dichiarazioni di fuoco di Xi Jinping sulla “riunificazione” e le incessanti incursioni dell’aeronautica cinese nello spazio aereo taiwanese, che hanno segnato il 2021 a livelli senza precedenti, sono viste come funzionali a preparare il terreno a una possibile azione di forza da parte della Cina. La leadership di Pechino sembrerebbe porsi come limite massimo per la “ripresa” pacifica o manu militari di Taiwan il 2049, quando cadranno i cent’anni di vita della Repubblica Popolare Cinese. Si discute del possibile tentativo cinese di riproporre il modello “un Paese due sistemi”. Un’ipotesi, quest’ultima, che secondo i sondaggi pubblicati dalla stampa taiwanese spaventa la gran parte dell’isola sull’onda di quanto sta accadendo a Hong Kong e che nel gennaio 2020 aveva consentito alla presidente Tsai Ing-wen di essere rieletta con un numero di voti record.

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Dal punto di vista americano una Taiwan indipendente è fondamentale per tenere in piedi la “cintura di contenimento” (da nord a sud: Giappone, appunto Taiwan, Filippine e Australia) a fronte dell’aspirazione cinese di divenire una potenza marittima non più limitata alla dimensione regionale. Contenere la Cina, d’altronde, è l’obiettivo alla base delle iniziative intraprese dagli Stati Uniti nell’”Indo-Pacifico”: il già citato QUAD e anche il patto di sicurezza trilaterale tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti (AUKUS).

Anche a fronte di una generale politica di disimpegno diretto degli Usa all’estero, il supporto americano a Taiwan mantiene un valore strategico che al momento appare non negoziabile. Non a caso la difesa di Taiwan (che peraltro dal punto di vista americano si traduce anche in ricche commesse per le forniture militari all’isola) è tra i pochi temi di continuità tra l’amministrazione Trump e l’amministrazione Biden e di convergenza tra Repubblicani e Democratici.

Vi è infine un ulteriore elemento di cui tenere conto. Taiwan è il maggiore produttore mondiale di semiconduttori ed è il principale produttore mondiale di circuiti integrati, con il 65% del mercato globale. La sola azienda numero uno, la TSMC che ha ramificazioni sia negli Usa che in Cina, rappresenta il 54% del mercato globale dei semiconduttori con una particolare importanza per le produzioni hi-tech negli Stati Uniti. Senza semiconduttori non ci sono i microchip e la già cronica carenza di questi ultimi a livello mondiale sta mettendo in crisi filiere strategiche come quelle dei trasporti. Anche per questo il confronto sino-americano su Taiwan è destinato ad essere centrale nel 2022 e ad essere seguito con grande attenzione dagli osservatori.

 

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