La PA soffoca le imprese, ecco una proposta che archivia i minibot

scritto da il 02 Giugno 2019

L’autore di questo post è Massimo Amato, professore associato presso il dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’università Bocconi –

Il primo effetto dei minibot, sdoganati dalla mozione votata all’unanimità martedì 28 maggio alla Camera, è di aver scatenato una girandola di simpatici… minibotti! Dopo la botta di vita del “paghiamo presto, paghiamo tutto”, ora c’è il botta e risposta fra quelli che “però così usciamo dall’euro” e quelli che “infatti così ci prepariamo all’uscita dall’euro, e fessi voi che non ve ne siete nemmeno accorti”.

E soprattutto una bella botta in testa al problema, vero, dei ritardi dei pagamenti della PA.

Sembrerebbe che nello scontro politico in atto il solo obiettivo che mette tutti d’accordo sia la spensieratezza. Lungi dal denotare il legittimo atteggiamento di distensione che è bene che animi belle gite in campagna per riposarsi da meritate fatiche, questa spensieratezza è, letteralmente, l’assenza di un qualunque pensiero direttivo nell’affrontare le summenzionate fatiche.

Eppure il problema c’è, eccome: si chiama ritardi dei pagamenti della PA. Ci sono imprese che falliscono non perché siano piene di debiti ma perché sono zavorrate da crediti non pagati. Che, quindi, vivono di competenza ma muoiono di cassa.

La ragione dei ritardi dei pagamenti della PA, che violano norme europee, oltre che, in questo specifico caso, il buon senso economico, è però stringente: questi debiti, nella misura in cui non impegnano la cassa pur essendo a tutti gli effetti esigibili, non rientrano nel conteggio del debito pubblico. Mors tua vita mea: la PA soffoca le imprese per non soffocarsi di ulteriore debito. Per poco elegante che sia, è la soluzione di un dilemma.

Poi ci sono le soluzioni apparentemente win win, sul modello “botte piena e moglie ubriaca”, che però si rivelano soluzioni spensierate, che il dilemma non lo risolvono a vantaggio di nessuno: la (mini)botte vuota e la moglie all’asciutto, tanto per intenderci.

È precisamente il caso dei minibot. I minibot sono a tutti gli effetti debito pubblico nuovo, emesso in piccoli tagli cartacei, dati in pagamento definitivo dei debiti della PA ad attori economici privati che poi dovrebbero farne uso per pagarsi fra di loro.

Ma pagandosi come? È qui che la spensieratezza incontra il suo nodo: se questi biglietti fossero a corso legale, se, cioè, per intenderci, non li si potesse rifiutare in pagamento, sarebbero l’ennesima edizione dei biglietti di stato, simpaticamente inaugurati dal regno di Piemonte nella prima metà del settecento, poi ripresi dal governo rivoluzionario francese con il nome di assegnati. Sarebbero quasi certamente illegali nel contesto dei trattati e, soprattutto, darebbero luogo pressoché necessariamente a un mercato secondario in cui sarebbero venduti a sconto. Nominalmente uguali a euro, varrebbero meno. Le monete parallele, soprattutto nella forma di un contante cartaceo, generano mercati secondari. E i debiti sarebbero pagati sì, ma con uno sconto ben più selvaggio di quello già pesante che viene offerto, ma almeno alla luce del sole, dal sistema bancario.

Se fossero invece a corso volontario, c’è da chiedersi chi li accetterebbe. Risposta: coloro che li utilizzerebbero un istante dopo per pagarci le loro tasse. Si realizzerebbe in questo caso una compensazione del tutto apprezzabile dal punto di vista dell’equità fiscale, ma che potrebbe essere realizzata direttamente senza bisogno di passare per un circolante cartaceo, per compensazione diretta di debiti e crediti. E che non aumenterebbe il debito pubblico, senza peraltro nemmeno diminuire il gettito fiscale.

Per festeggiare il “capodanno” fiscale non c’è bisogno di passare per i minibotti. I botti, mini e maxi, sono segno di una certa caciaroneria mediterranea. Che ammetto mi piace più quando si tratta di feste vere che quando si tratta di fare la festa al pensiero.

La cosa che spiace in questo botto di spensieratezza bipartisan che ha portato all’approvazione della mozione, è che si è persa un’altra occasione per lavorare a strumenti monetari nuovi, utili e legittimi.

Le cosiddette “monete fiscali” sono oggetto di un dibattito serio, sia in Italia che altrove in Europa, per esempio in Francia. Un dibattito è serio quando fa emergere criticità e non quando polarizza i dibattenti fra detrattori e sostenitori “a prescindere”. Fra tutti Gennaro Zezza ha dato importanti contributi nella direzione della serietà.

Parlavo prima di soluzioni win win. Ecco una pista.

I debiti delle PA sono certi per competenza e incerti per cassa, cioè quanto al momento del pagamento. Se si fissasse una data, anche lontana, per il loro pagamento in euro, si potrebbe anticipare il loro pagamento con voucher elettronici da convertirsi automaticamente a data certa in euro. Essendo elettronici, i voucher circolerebbero su una piattaforma di pagamento che potrebbe essere concepita per impedire pagamenti a sconto (per esempio autorizzando il pagamento in crediti solo previo caricamento di una fattura in euro, e autorizzando solo pagamenti equivalenti, cioè capaci di rispettare l’equivalenza uno a uno voucher/euro). Certo si potrebbe pensare a sovrafatturazioni che aggirano la parità, ma almeno ci sarebbe una tracciabilità che con il contante ci si scorda.

Con questo metodo la PA non pagherebbe le imprese con una “monnaie de singe”, come si dice in francese. Letteralmente una moneta da scimmie, che cioè scimmiotta la vera moneta, come i biglietti del monopoli. La PA pagherebbe in euro al momento del pagamento, ma anticiperebbe fin da subito qualche cosa che a scadenza diventa euro, ma che nel frattempo può essere usato, e non a sconto, per pagarsi fra soggetti economici, e che è accettata da tutti proprio perché può essere usata da tutti per pagare le tasse.

Siccome è stato giustamente ricordato, anche nel poco edificante dibattito parlamentare del 28 maggio, che il problema che soffoca le imprese sono i ritardi, questo sistema offrirebbe alle imprese respiro, perché darebbe loro tempo.

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Dando tempo, darebbe anche, senza aumentare il debito, al sistema una liquidità che potrebbe in tempi medio-lunghi dare origine anche a effetti moltiplicativi altamente desiderabili ed entro certi limiti anche calcolabili. Questi calcoli potrebbero a loro volta addirittura aiutare a determinare quale sia l’importo sostenibile di voucher da emettere. E così via. Nella misura in cui fossero voucher e anticipazioni, si potrebbe pensare anche a delimitare il loro ambito di circolazione, creando effetti di network in una economia chi si sta sfilacciando e perciò ulteriormente indebolendo.

E a chi si stracciasse le vesti accusando il progetto di antieuropeismo, si potrebbe semplicemente obiettare che il progetto è una possibile legittima applicazione di un programma europeo, chiamato Digipay4Growth, e che prevede che le PA possano mettere in atto circuiti di pagamento in euro per rafforzare la crescita e l’occupazione in territori delimitati.

Data la spensieratezza imperante, si potrebbe sospettare che l’Europa sostenga così un programma antieuropeo. Ma il sospetto avrebbe almeno il merito di spostare il piano del dibattito sulle incongruenze del progetto europeo e sugli spiragli di un cambiamento possibile anche nel quadro dei trattati vigenti.

Ci guadagneremmo tutti un po’ di serietà.

Twitter @MassimoAmato9