Stop Hate for Profit e l’impegno sociale delle imprese

scritto da il 07 Luglio 2020

Post di Eleonora Maglia, giornalista. Eleonora svolge attività di ricerca e pubblicazione per il Centro di documentazione Luigi Einaudi di Torino –

Stop Hate for Profit (https://www.stophateforprofit.org) è la recente campagna globale (cui hanno aderito anche Coca-Cola, Starbucks, Unilever e The North Face) per promuovere, attraverso l’interruzione degli investimenti in advertising, un intervento massiccio dei social contro fenomeni come l’hate speech e il razzismo. Coinvolte 160 società statunitensi il nuovo obiettivo dell’iniziativa è ora espandersi in Europa.

Iniziative di questo tipo si inseriscono nell’insieme più ampio della Corporate Social Responsibility – CSR ovvero l’attenzione degli imprenditori al valore sociale attraverso investimenti finalizzati ad uno sviluppo sostenibile, al capitale umano e all’ambiente.
Infatti, per Porter e Kramer (2011), il mercato stesso è definito tanto dai bisogni economici quanto dai bisogni sociali. L’interconnessione è stretta, dato che, da un lato, l’azienda ha bisogno di una comunità in buona salute, non solo per creare domanda per i suoi prodotti, ma anche per avere attorno a sé un ambiente favorevole. D’altro lato, la collettività ha bisogno di imprese di successo per mettere a disposizione dei propri membri posti di lavoro ed opportunità di creazione di ricchezza. L’obiettivo comune diviene dunque creare valore condiviso, posto che i danni sociali ed ambientali comportano costi generalizzati. Così, una decisione è socialmente responsabile se soddisfa contemporaneamente le tre variabili (note come 3P) “persone, pianeta e profitti” postulate da Hall (2011). Le pratiche di lavoro utilizzate quindi devono essere corrette (monitorando che ciò avvenga lungo tutta la catena del valore) e l’impresa è tenuta a contribuire per migliorare il benessere della comunità anche sostenendo in prima persona interventi di welfare, in linea con i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (anche noti come SDGs, Sustainable Development Goals) approvati dalle Nazioni Unite nell’Agenda 2030.

Il valore e i vantaggi della CSR
Secondo le rilevazioni dell’Osservatorio Socialis (IX Rapporto di indagine sull’impegno sociale delle aziende in Italia, 2020), l’investimento medio delle aziende italiane in CSR nel 2019 è stato pari a 241.000 euro soprattutto per migliorare le relazioni con le comunità di riferimento attraverso interventi in formazione interna (49 per cento) e di sostegno al territorio (47 per cento). Tutto ciò intercetta l’attenzione sul tema dei consumatori (valutata in crescita per il 43 per cento degli intervistati) e produce miglioramenti in termini di immagine per l’azienda (per il 49 per cento degli intervistati).

L’effetto Covid-19 sulla CSR
Nonostante il valore delle interventi in CSR sia in costante crescita (+15 per cento rispetto al 2017), Covid-19 ha comportato delle riformulazioni in negativo (il 37 per cento delle imprese ha ridotto o annullato il budget stanziato per 2020 prima dell’emergenza sanitaria) ma anche in positivo (il 18 per cento delle imprese che non aveva previsto un budget in proposito ne ha stanziato uno a seguito della pandemia, con investimenti medi di 153.000 euro). Secondo le stime di Socialis, così, il numero di imprese italiane che investono in CSR potrebbe aumentare fino al 95 per cento del totale.

I progetti per il futuro
Otto imprese su dieci prevedono infatti di rendere la CSR sistematica all’interno del modello di business (soprattutto al Nord e nei settori finance, telecomunicazioni, farmaceutica e manifatturiero), attraverso l’istituzione di un Responsabile incaricato alla sostenibilità (nel 70 per cento dei casi). A riguardo, una specializzazione in CSR mostra competenze trasversali e rende il curriculum distintivo per l’80 per cento delle imprese intervistate.

Stati Uniti, Europa e Italia
Complessivamente, nonostante le iniziative in CSR principino per lo più negli Stati Uniti (come Stop Hate for Profit citato nell’incipit o Business Roundtable, l’organizzazione che riunisce gli amministratori delegati delle maggiori corporation americane – JP Morgan, Amazon, Apple e General Motors) anche in Europa il tema è centrale. Già nel 2001 la Commissione Europea ha sottolineato l’importanza “non solo di soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma anche di andare al di là investendo di più nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate” (Commissione Europea, 2001, Libro Verde. Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese, Bruxelles) e più recentemente, a marzo 2020, ha promosso un’azione rafforzata per un’informazione civile e corretta a vantaggio dei cittadini e del dibattito pubblico.

In Italia, le prospettive di crescita rilevate da Socialis attestano che, nonostante le note contrazioni per Covid-19, l’opportunità di investire per uno sviluppo sostenibile è opportunamente colta, a vantaggio delle imprese per la leva economica e reputazionale di cui si è detto e, soprattutto, dell’ambiente e della società.