Turismo straniero, il bluff della Francia e gli autogol dell’Italia

scritto da il 04 Gennaio 2019

L’autore di questo post è Luca Martucci, consulente ed esperto di marketing di destinazione –

Banca d’ Italia ci ricorda l’importanza del Turismo per l’ Economia del Paese. Fotografa il posizionamento internazionale dell’Italia e le lacune storiche che affliggono il settore. E fa pure un “selfie” sul sistema statistico ed informativo. “Alle attività turistiche è direttamente riconducibile oltre il 5 per cento del PIL del Paese”. La voce della bilancia dei pagamenti relativa ai viaggi è l’unica posta storicamente in attivo. Così si legge nel recente rapporto di Via Nazionale intitolato Turismo in Italia, Numeri e potenziale di sviluppo. Molti ed interessanti gli spunti di riflessione, anche se la ricerca aggiunge poco a quanto gli addetti ai lavori sanno da tempo.

La diagnosi è ben sintetizzata in un unico o paragrafo che, per comodità di analisi , dividiamo in tre parti:

1) “Gli indicatori ci restituiscono l’immagine di un paese ben posizionato ma non al vertice, nonostante la ricchezza delle dotazioni culturali e naturali di cui potrebbe usufruire…”;

2) “…a causa soprattutto di alcune lacune che hanno storicamente caratterizzato il governo del turismo“…”il divario con i nostri più diretti concorrenti è particolarmente ampio per capacità di promuovere l’immagine del Paese o di definire le priorità per lo sviluppo del settore”;

3) “tali mancanze si intrecciano al ritardo del Paese… una bassa spesa pubblica destinata al comparto e… un sistema statistico e informativo ancora poco tempestivo”.

1) Un paese ben posizionato, ma non al vertice
Gli indicatori presi in considerazione sono quelli del rapporto The Travel & Tourism Competitiveness Report 2018 del World Economic Forum, che colloca l’Italia all’8° posto nella graduatoria mondiale. Questo in virtù del numero di arrivi internazionali (5° posto ), della relativa spesa (6° posto) e del numero di risorse culturali e naturali, mentre gli altri indicatori ci penalizzano e non poco.

Per quanto riguarda gli arrivi è così da un po’ di anni e così sarà ancora per i prossimi . Secondo Euromonitor perderemo questa posizione a favore della Tailandia ma solo nel 2030.
Siamo stati i primi forse 70 anni fa , ma sognare ancora il vertice è anacronistico quanto inutile, sopratutto nei confronti di due colossi geografici ed economici come USA e Cina. Anche il gap con Spagna e Francia sembra ormai difficilmente colmabile.

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Diverso è il discorso per quanto riguarda la spesa dei turisti stranieri. Diminuire il gap con chi ci precede o aumentare quello sugli inseguitori non è impossibile, come vedremo più avanti.
Nelle prime righe del rapporto si legge che “l’Italia è tra i paesi di più antica vocazione turistica e agli inizi degli anni Ottanta, quando il turismo era limitato ancora a poche destinazioni internazionali, era seconda solo agli Stati Uniti per incidenza sulla spesa turistica globale”.

In realtà non c’è bisongo di andare così indietro, visto che ancora nel 1998 l’Italia divideva il secondo posto con la Francia.

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Come si fa notare nel rapporto, il Bel Paese, insieme ad altre destinazioni mature, ha perso progressivamente quote di mercato grazie all’ affermazione di nuove destinazioni sopratutto asiatiche. Ma ecco la nota dolente:

“Il calo, pur se in parte fisiologico, è stato più intenso per il nostro paese che per i principali concorrenti europei”. “Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio di questo decennio la spesa in Italia dei turisti stranieri è cresciuta molto meno della spesa globale dei turisti internazionali e della domanda potenziale espressa dai mercati d’origine più importanti“.

Rivedere criticamente il numero degli arrivi internazionali è possibile attraverso una maggiore attenzione al fenomeno dell’abusivismo e del sommerso. Nel caso della spesa degli stranieri questa revisione invece è un must se non vogliamo cadere ulteriormente nel ranking , visto che Germania ed Australia ci tallonano da vicino e la crescita delle destinazioni asiatiche, grazie al bacino cinese, è inarrestabile.

2) Lacune storiche e divario con i concorrenti
Sul vasto elenco delle lacune storiche della governance del Turismo non si può che concordare. Sono le stesse trattate da tanti altri studi e convegni di settore, e sono purtroppo alla base del divario con la concorrenza.

Colmare questo divario con un marketing efficace sicuramente contribuirebbe ad aumentare quantità e qualità, ma non bastano poche righe quando si parla di infrastrutture, offerta turistica o competitività dei prezzi. Qui ci soffermiamo solo su alcuni dei sotto-indicatori della voce ‘Policy e regolamenti’ che vede l’ Italia al 121° posto su 136 paesi !

3) Bassa spesa pubblica, completezza e tempestività dei dati statistici
Glissiamo su efficacia politiche di marketing o capacità di definire le priorità in materia di turismo, mentre riguardo alla spesa pubblica, che avrebbe subito dal 2006 al 2016 una contrazione del 43%, solo la Spagna tra i nostri primari concorrenti è meglio posizionata dell’Italia. Ma non può essere un alibi.

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A proposito della tanto agognata sinergia pubblico-privato , vale la pena di ricordare l’esempio di Visit Britain, che nel 2017 ha potuto contare su 13 milioni di sterline di investimenti da parte di partner commerciali, oltre a due milioni dalle vendite del suo on line shop.

Il rapporto dice che “in tema di raccolta e diffusione di dati attinenti al turismo, il nostro paese mostra un ritardo rispetto alle best practice internazionali, pur non evidenziando delle gravi carenze”.

Ecco il paradossale selfie di Banca d’ Italia, alla quale verrebbe da rispondere: da che pulpito viene la predica!

Come noto Banca d’Italia divide con l’ISTAT il ruolo di fonte primaria delle nostre statistiche del Turismo ed è l’ unica per quanto riguarda la spesa degli stranieri. L’istituto centrale dovrebbe farsi un esame di coscienza, anche perché, a nostro modesto avviso, nonostante il prezioso e dettagliato contributo delle sue statistiche, esiste una carenza di fondo proprio nel calcolo della spesa.

Banca d’ Italia ripone una buona dose di speranza negli sviluppi del Piano Strategico Nazionale del Turismo, seppure “Le iniziative intraprese sono ancora troppo recenti per poterne valutare compiutamente gli effetti”, anche per quanto si riferisce al sistema statistico, all’organizzazione dell’Osservatorio Nazionale sul Turismo ed al cruscotto di ENIT che verrà.

Non traspare invece alcuna preoccupazione su come migliorare ed attualizzare i propri dati. L’esempio più calzante, sul quale abbiamo più volte posto l’accento, guarda il mercato Cina, che, tra gli altri, avrebbe registrato quote crescenti, seppure “caratterizzato ancora da un peso ancora contenuto (di poco superiore all’1 per cento del totale) a fronte del suo enorme potenziale”. Il Brasile risulta invece stazionario, anche se i numeri dicono altre cose.
Una generale riflessione sarebbe auspicabile per chiedersi perché la Cina, in testa alla classifica dei mercati che più spendono per viaggi, nel caso dell’Italia non rientri nemmeno tra i primi venti mercati esteri. Questionari ed attuali “celle di espansione” dei dati campionari non sono più sufficienti.

Le strategie tradizionali ed Il metodo francese

Tutte le destinazioni oggi guardano sempre di più alla qualità dei turisti. Soprattutto quelle più mature, che iniziano a soffrire il cosidetto overtourism. Così si parla sempre di più di attenzione ai turisti big spender, quelli che nei convegni in Italia sono chiamati ‘alto-spendenti’ (anche se i vocabolari suggeriscono la più casereccia traduzione in “spendaccioni”).

Le strategie tradizionali sono quindi mirate ai segmenti di nicchia, ai turisti che hanno maggior capacità acquisitiva, interessi speciali, spesso repeater della destinazione e che rimangono più giorni nella destinazione. Mettere in pratica queste strategie è fondamentale per far crescere la spesa dei turisti. Ci vogliono competenze adeguate e investimenti ingenti per ottenere risultati a medio-lungo termine.

Poi c’è il “metodo francese”!

Visto il riferimento alle best practice internazionali, niente di meglio che ricordare che i nostri cugini d’oltralpe hanno aggiustato, un po’ in sordina ma non di poco, le proprie statistiche , come evidenzia bene questo confronto tra le due più recenti classifiche UNWTO. Da notare che in quella 2017 l’Italia figura al quinto posto in quanto non era contemplato il Regno Unito , che ha poi chiuso a 51,2 miliardi.

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Nel 2017 la crescita della Francia sull’anno precedente è stata pari al 9% (e non al 45 % come sembrerebbe dal confronto tra le due classifiche ) solo perché la Francia ha rivisto retroattivamente i suoi dati , recuperando quasi 13 miliardi di euro.

Come hanno fatto? In sintesi: attraverso indagini più precise e più adatte alle nuove forme di turismo, prospezione di dati digitali, riconciliazione dei numeri forniti da agenzie statistiche di altri paesi e distribuzione di 60.000 questionari per anno in 190 paesi.

Il maggiore “recupero” si è registrato proprio per i mercati extra-europei: i turisti cinesi in Francia avrebbero generato nel 2017 una spesa di 4 miliardi di euro (10 volte più di quanto “calcolato” per l’ Italia !) a fronte di un 2016 che da 900 milioni è passato a 3,3 miliardi grazie alla “cosmesi” di cui sopra.

Anche la Spagna si sta dando da fare per utilizzare big data e contributi di compagnie telefoniche, banche e carte di credito per completare le proprie statistiche.

Le statistiche e le classifiche: tra menzogne, omissioni e marketing di Stato

Le statistiche sul Turismo vanno sempre prese con le pinze, visto che sistemi di rilevazione e metodologie variano da paese a paese. USA ed Australia, per esempio, includono nelle entrate dei viaggiatori stranieri anche spese per educazione e sanità. Banca d’ Italia non considera tra le voci di spesa gli acquisti per shopping e beni di valore, sostenendo di usare una metodologia allineata con altri paesi. Qualche dubbio rimane.

Le classifiche stilate da organismi internazionali non sono altro che la semplice aggregazione dei dati forniti da ogni paese. Tutto si basa quindi su un sistema di “autocertificazione” che, come dimostra il caso appena citato della Francia, lascia spazio ad ampi margini di manovra. Dichiarare numeri positivi o un migliore posizionamento nel ranking fa bene all’autostima ed all’umore degli stakeholder, agli interessi degli investitori e al brand della destinazione! Media e social adorano le classifiche, e la Francia da molto tempo ha fatto del suo presunto primato negli arrivi dall’estero un poderoso strumento di marketing .

Pochi quelli che, con buona dose di ragione, mettono in discussione questo primato, come questo interessante contributo, dove si arriva perfino a parlare di menzogne di Stato!

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Nel caso dell’Italia possiamo parlare di omissione di Stato (e di tutti i soggetti coinvolti, pubblici e privati), intesa come incapacità di innovare e stare al passo con i tempi. Ed ancora una volta, di non saper guardare oltre l’orticello ed approfittare dell’esempio di chi non dorme. Così per restare in sintonia con le attuali tensioni politiche, possiamo dire che le classifiche degli organismi europei o mondiali del turismo, come per altri settori, sono costruite su variabili come la grandeur dei Francesi o l’inconsapevole modestia dell’Italia.

Non si tratta di bluffare o di nazionalismo, ma solo di aprire gli occhi e ragionare. Siamo il Paese più bello del mondo, il più sognato dai turisti, quello dei record, dove più si spende per enogastronomia, il paradiso dello shopping, etc etc. Ma dai numeri di Banca d’Italia, della quale continuiamo a essere profondi estimatori, tutto ciò non si vede.

Il 2019 è stato proclamato da tempo Anno del Turismo Lento. Auguriamoci che sia invece quello della velocità, del vero cambiamento di governance, e della disruption delle statistiche del Turismo, della quale l’Italia ha davvero un urgente bisogno.

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