Manager, di doman non c’è certezza. Chi crede ancora al lungo periodo?

scritto da il 26 Marzo 2019

L’autore di questo post è Silvano Joly, country manager di Centric Software Italia, che dal 1995 lavora in aziende high tech seguendo il mercato italiano e del Mediterraneo –

Si racconta che Piero Villaggio, fratello dello straordinario attore e professore di Scienza delle Costruzioni alla Normale di Pisa, avesse chiesto ad uno studente che non aveva risposto a nessuna domanda: “Mi disegni una retta sulla lavagna”. Lo studente cominciò a tracciare una linea sulla prima lavagna fermandosi al bordo, ma il Professore incalzò: “Continui e non si fermi!”. Le lavagne erano quattro, e lo studente obiettò: “Ma le lavagne son finite!” E lui implacabile: “Continui e … continui così lungo il muro fino alla porta e poi fino a casa, riprenda a studiare e torni preparato al prossimo appello!” La retta è infatti un ente geometrico fondamentale della geometria euclidea, l’entità formata da infiniti punti che corrono lungo la stessa direzione, con un principio (forse) ma senza una fine.

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Ma perché questa riflessione geometrica? Qualche settimana fa in viaggio con un collega riflettevo su come non vi siano più iniziative “tendenti ad infinito”, piani pensati e destinati a durare se non decenni almeno qualche anno, dichiarazioni di intenti che sopravvivano a qualche trimestre. In tutte le dimensioni, quella politica che pensa a pensionare senza rimpiazzare e che cerca consenso nel breve dimenticando le generazioni future, quella aziendale che pensa al dividendo nell’anno fiscale se non nel trimestre e trascura innovazione e crescita organica, pure quella dei singoli che fanno un prestito per andare in vacanza ma non sanno quando finiranno le scuole, se si sposeranno, come metteranno su casa.
Tutti in coro intonando “Voglio vivere così, col sole in fronte”, come cantava Claudio Villa…

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Infatti se osserviamo le scelte professionali, le carriere, le gestioni aziendali nell’era della Old Economy, esse erano quasi sempre linee rette. Si finiva la scuola, con un diploma, una specializzazione, una laurea, quindi si iniziava a lavorare. Si progrediva, tanto o poco, si passava – come lungo dei segmenti di una retta – da A a B e poi C … fino alla pensione, senza pensare a dovere o potere cambiare o interrompere. Né per scelta propria né perché cambiava l’amministratore delegato o l’azienda veniva venduta. Insomma si andava avanti ma con un “piano di vita”, dentro un “piano d’azienda”. Ognuno con la sua linea parallela tendente ad infinito. E anche chi cambiava lavoro aveva comunque una linea retta di riferimento.

Persino io, che mi definisco “connesso viaggiatore”, ho iniziato a lavorare nel ‘90 presso Bolaffi SpA, qualificata e prestigiosa società torinese, con un buon incarico, che mi dava soddisfazione. Poi ho cambiato varie aziende, pensando aa come rendere la mia linea “più veloce” cercando di mettere i vari segmenti in fila tra di loro, lungo la l’asse dell’essere un commerciale capace di risolvere l’equazione “voglia di innovazione versus paura del cambiamento”. E dopo 28 anni ancora mi ci riconosco: aperto alle tematiche della vendita e della comunicazione, dotato di spirito partecipativo, autonomo e capace di organizzare e gestire. Solo che giovane non sono più, ma sì che l’età è un fatto relativo.

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L’inserzione che nel 1990 mi portò in Bolaffi SpA

Ma le linee rette a quanto pare non vanno più di moda, almeno se le intendiamo come programmi di vita o come piani di aziendali. Siamo di fronte a tanti segmenti, linee spezzate che non sono più parte di una retta tendente ad infinito. Si vedono solo linee “spezzate”. Magari non è grave, ma questo determina interruzioni e attività a singhiozzo nella vita dei singoli, nelle aziende e nelle carriere.

Ovvio che se è un singolo ad avere le sue linee tratteggiate, una carriera a singhiozzo, andate e ritorni, non c’è niente di grave se non per lui o lei, ma se sono i “primi livelli”, le alte dirigenze, allora ci possono essere dei problemi. Molte aziende, ad esempio, hanno ancora nel logo e sulla carta intestata l’anno della fondazione e hanno sempre lavorato come se non ci fosse una fine, rinnovandosi, evolvendo e cambiandosi, con iniziative che se non ad infinito avevano almeno un respiro lungo abbastanza da non vederne il termine in una generazione.

Pensiamo ad Henry Ford o a Olivetti, forse sognatori e utopici, ma per loro l’azienda che portava il loro nome era destinata a sopravvivergli, a passare ai loro eredi e così per generazioni all’infinito. “Tutto questo un giorno sarà tuo”… certo un concetto capitalistico, plutocratico, ma con un futuro assicurato non solo per figli e nipoti ma anche per maestranze, città, nazioni dove le fabbriche avevano sede.

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Henry Ford

E così per i dirigenti, altrimenti detti manager. Due ruoli aziendali che voglio analizzare nella loro etimologia.

La prima è facile, deriva da dirigere: dare la direzione. Verso un nuovo punto e verso un altro tratto della nostra linea retta e infinita. L’altra è inglese, ma non del tutto, è anch’essa latina: manus – agere (fare a mano), che implica il saper fare ciò di cui si sta parlando con la ability to execute che differenzia il leader dal capo funzionale. E tramite la conoscenza del come arriva la padronanza nel condurre e dirigere gli altri, l’azienda, i colleghi, le maestranze, sino all’obiettivo finale.

Questo è stato fino a metà del secolo scorso, quando le SpA erano società per azioni, non solo intese come titoli di borsa ma anche “azioni” quelle volte a far crescere oltre al dividendo finanziario quello morale, personale persino quello dell’ambizione. Se si iniziava un percorso non era pensando alla sua fine ed al risultato a breve termine ma ad un suo auspicabile infinito successo. Magari questa determinazione ha indotto in errori e causato danni collaterali, pensiamo a Fiat ed Olivetti. Con il grande Valletta così determinato a focalizzare Piemonte ed Italia nella costruzione di autoveicoli, da suicidare all’altare di quel primato una Silicon Valley eporediese (di Ivrea) che così non nacque mai.

E che dire di quel genio di Adriano Olivetti, con la sua scommessa professionale e scientifica, mai sconfitta, di confrontarsi con chi stava gettando le basi dell’informatica moderna, nominando persino un italo-cinese come capo del gruppo che a Ivrea doveva creare il primo calcolatore elettronico.

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Evolution of Management Thought, di Rahat Chowdhury

Ma da una ventina d’anni si è perso questo concetto del lungo periodo, esistono le mission aziendali ma si scrivono in business plan che pensano a una exit strategy a breve termine. Che quasi sempre è presa di profitto, non crescita o parte di un ulteriore percorso aziendale. Azzardando un parallelo con la politica: sono morte le ideologie, di conseguenza sono decaduti gli ideali. Nel mondo imprenditoriale sono spariti gli idealisti e quindi scarseggiano le idee. E così se nei proclami politici non ci sono più utopie di destra o di sinistra, nelle aziende vengono a mancare le idee intese come piani di lungo periodo.

Ma il ragionare a breve fa venire cattive idee. Una delle peggiori: pensare che cambiare C-level come si cambia l’operatore telefonico sia una strategia di business. Esempio: io vendo software per lo sviluppo prodotto, che è una piattaforma di livello enterprise ed ha un ciclo di vendita che va dai 12 ai 36 mesi. Dal 2015 circa mi trovo sempre più spesso ad iniziare le attività con un CEO, un COO, un CIO e a chiudere la trattativa con executive diversi, assunti al posto dei primi, pensando che cambiare CEO e prime linee possa migliorare le sorti aziendali.

Non dico che non sia il caso di rimpiazzare chi se lo merita, ma questo non può diventare un metodo consolidato specie se si è un’azienda di prodotto. La chart di Statista, lo evidenzia in questa analisi del 2016 con uno spaccato molto significativo. Dopo l’isterica ICT e la volubile Energy, ecco CG CPG che fanno dei gran valzer di CEO…

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Io credo che dal vertice non si pensa più al lungo periodo, per caduta anche i quadri intermedi aggiornano il loro orizzonte di conseguenza e così financo alla reception, che in molti casi rispecchia esattamente lo “short seeing” di azionisti e direttori generali.

All’opposto ho potuto constatare di persona come le organizzazioni che hanno davvero un piano di lungo periodo lo riverberano su chi lavora in azienda, dandogli sicurezza e consapevolezza di essere parte di un progetto e non co-protagonisti di un vago e incerto disegno che prospetta un futuro traballante.

Parlandone con un esperto come Andrea Pietrini, managing partner di YOURgroup, che ha creato il Il primo gruppo di advisory operativo in Italia, ho discusso della discontinuità manageriale quale possibile risposta e gli ho chiesto se il fractional executive possa rendere politiche di lungo periodo efficaci attraverso interventi puntuali e focalizzati.

Andrea mi ha detto: “Questo mi piacerebbe, ma non lo posso affermare perché la discontinuità è ormai sistemica e travalica aspetti organizzativi e proposte seppure interessanti come quella del fractional executive. Questa può essere tuttavia una risposta interessante alla discontinuità professionale del manager, che dà continuità lavorativa perché si fonda sulle capacità professionali e sulle competenze e che fa riprendere il controllo della propria vita professionale, che spesso si era delegata ad un mondo produttivo discontinuo. Peraltro lo stesso Harai nel bellissimo saggio: 21 lezioni per il 21° secolo ci dice che entro il 2050, non soltanto l’idea di “un posto di lavoro per la vita”, ma addirittura l’idea di “una professione per la vita potrebbe apparire antidiluviana. Siamo già nel futuro”.

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Andrea Pietrini, Managing Partner di YOURgroup

Ma se fossero invece mancanza di competenze e la difficoltà a svilupparle il freno al “ragionare verso l’infinito” e “uscire dalla comfort zone”? Ancora ho domandato ad Andrea che ha commentato: “Le aree possono essere le più disparate, ma l’attività funziona molto bene in funzioni specialistiche ad alta intensità di competenze: Finanza, HR management, Strategia e Marketing, Digital Transformation, in società che abbiano progetti in cui servano professionalità che sappiano coniugare la specializzazione alla visione globale, che non è mai semplice”.

“Abbiamo tanti casi di successo: dalle scale up dove è entrato un fondo di venture capital, un business angel o hanno concluso un progetto di crowdfunding, a società che vogliono avviare un processo di quotazione su mercati tipo AIM – YOURgroup è partner di ELITE e di Borsa Italiana – oppure in caso di passaggio generazionale (e qui in effetti si supporta la continuità di un progetto aziendale per riprendere quanto citato sopra), ma potrei parlare a lungo perché il tema della carenza di risorse manageriali di qualità e del beneficio che può dare ad un’azienda, magari familiare, un manager esperto è acclarato dalla letteratura aziendalistica”.

In questa mia analisi, vorrei anche fare un riferimento ai giovani. Questo short term-mood mi sembra generato dai mie coetanei “Generazione X” e sta molto influenzando anche la “Generazione Z” e i Millennials, che semplicemente pensano sempre meno a un “Piano di Vita”. Nonostante chi abbia vent’anni o meno viva in un mondo molto più aperto, con “nuove” dimensioni di cosmopolitismo e media.

Assenza di confini e facilità di comunicazione dovrebbero migliorare le strategie usate dai giovani nel passare alla vita adulta e professionale, pensando all’attuazione di progetti di vita futuri, anche di coppia o di famiglia. Invece un così potente framework di riferimento non diventa strumento per definire le aspettative di futuro e organizzare la loro realizzazione prima formativa poi occupazionale. Al contrario, sempre più giovani vedono la vita solo “a breve” e preferiscono il “gaudeamus igitur”.

Occhio però: gli irresponsabili non sono loro, siamo noi che diamo un cattivo esempio. E così lo spiega Four Hooks, una Digital Agency basata in Romania, paese dove forse è proprio la mancanza di certezze che fa ancora pensare al lungo periodo.

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Questa mia riflessione è prima di tutto un’autoanalisi, io stesso appartengo alla categoria nata negli Anni Novanta dei Dinkie (double income – no kids), ma desidero concluderla con un esempio di una linea di vita interrotta e ricostituita con ancora maggiore vigore e decisione.
Quella di Danilo Ragona, che all’età di 21 anni a causa di un incidente, ha visto il suo piano di vita interrompersi, ripartendo su una carrozzina. Ma questo non ha fermato né la creatività né l’inventiva di Danilo. Diventato designer (nel 2011 ha vinto la Menzione Premio Compasso d’Oro ADI) ha sempre cercato di essere libero, ha creato la sua azienda Able to Enjoy ed ha reinventato il concetto di diversa abilità e mobilità, coniugandola a fashion, innovazione e tecnologia.

Da designer a imprenditore, Danilo ha allungato la sua linea – interrotta dal Fato – e progetta carrozzine per disabili. Pezzi unici che si ripiegano in un zaino, con ruote adatte a sabbia e neve e una dotazione di innovazione e tecnologia condita di dettagli fashion. Fighissime e personalizzabili in migliaia di combinazioni differenti, hanno anche sfilato sulle passerelle della Milano Fashion Week.

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Danilo Ragona

Danilo è un amico ma per me è anche un esempio. Oggi è anche una star televisiva, con il suo Giro del Mondo che ogni domenica si vede su RAI3 nella trasmissione Kilimangiaro. Alla faccia di chi teme il lungo periodo e le linee rette!

Lo ringrazio e invito anche voi a prendere esempio da lui quando ci coglie la tentazione del tracciare una lineetta breve, giusto lunga quanto la nostra comfort zone. Troviamo il coraggio di estendere il nostro orizzonte e allungare all’infinito le nostre aspirazioni.

Twitter @sjoly_ita