Irpef e Iva: il piatto piange alla Regione Sicilia, i cittadini interrogano il MEF

scritto da il 23 Febbraio 2020

In alcuni comuni della Sicilia, ogni anno, si registrano 40-50 decessi a fronte di 10-20 nascite. Il caso del comune di Gangi è addirittura peggiore: 80 decessi, 30 nascite. Ciò implica che il sostantivo spopolamento, usato per designare l’abbandono per lo più da parte dei giovani e ormai piuttosto in voga, sia da sostituire cinicamente con un altro sostantivo: ‘estinzione’. Sì, è vero, sulle prime, “estinzione” ci fa pensare alla scomparsa d’una qualche specie animale, almeno per abitudine linguistica. Tuttavia, il buon Treccani online, nell’estensione dell’area semantica, aggiunge: annullamento, cancellazione.

Quale sarebbe, dunque, il rapporto tra la semantica e l’economia di un popolo? Il rapporto trova compimento nella consapevolezza e, soprattutto, nel coraggio di chiamare le cose col loro nome, per quanto possa fare male. Lo ribadiamo: consapevolezza e coraggio. Le definizioni, comunque, cedono presto il posto ai fatti: ogni anno, in media, vanno via dalla Sicilia 25.000 persone in cerca d’una vita migliore. L’espressione “vita migliore” appare retorica, consumata anch’essa dalla ripetizione giornalistica? Può darsi che lo sia, ma, come abbiamo scritto in precedenza in una mini inchiesta per Econopoly, il tasso di disoccupazione è pari al 22,1%, in alcune province lavora solo una persona su quattro, il reddito pro capite corrisponde esattamente alla metà di quello nazionale e a un quarto di quello lombardo-veneto, infrastrutture e servizi di pertinenza mancano o sono quasi sempre parziali.

Noi, qui, grazie al medium della scrittura, possiamo solo sforzarci di conferire vividezza alla narrazione, avvicinandoci quanto più possibile alla realtà, ma, in quei paesini di cui abbiamo parlato in apertura, sparsi per lo più sulle zone montane, vivono normali padri di famiglia, altrettanto normali giovani, donne, anziani, bambini: tutte persone con dei diritti, tutti cittadini ai quali oggi questi tanto declamati diritti sono stati negati. Quest’altra espressione, “diritti negati”, potrebbe essere percepita come una forzatura, giudicata inopportuna e iperbolica, cosicché – al solo scopo di restituire fedeltà ai contenuti dell’articolo – ci proponiamo di analizzare un po’ di dati e, soprattutto, qualche documento da cui certi dati sono tratti.

Nell’articolo summenzionato, 11 ore di treno per fare 350 km, ma il Sud è stato depredato o no?, avevamo già citato il caso dei Livelli Essenziali di Spesa (LEP) e del libro-denuncia di Marco Esposito, dimostrando che, qualora si ripristinassero i principi di uguaglianza della spesa pro capite, occorrerebbe restituire al Sud, ogni anno, addirittura 60 miliardi di euro, che invece finiscono al Nord. Adesso, invece, con riferimento allo Statuto Speciale della Regione Sicilia e a un’autonomia inapplicata o, per lo meno, ‘deviata’, proviamo a raccontare un’altra storia: di valore e, nello stesso tempo, di dolore. Il valore proviene dall’azione di un ex assessore di uno dei tanti paesini siciliani, Castellana Sicula, Vincenzo Lapunzina, oggi coordinatore regionale del comitato per le zone franche montane; il dolore – in parte, potremmo anche dire l’incredulità – è causato dalla scoperta dell’inefficienza dello Stato.

Quest’uomo, in pratica non ha fatto altro che produrre un’istanza di accesso civico ai sensi dell’art. 5, comma 2, del D.Lgs n° 33 del 2013, rivolgendosi al Direttore della Sezione Studi e Ricerche economico-fiscali del Dipartimento delle Finanze, dott.ssa Maria Teresa Monteduro e, per conoscenza, a tutti gli altri organi competenti, dal Direttore Generale delle Finanze al Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, e chiedendo ‘loro’ chiarimenti in merito a dei crediti vantati dalla Regione Sicilia, in conformità agli articoli 36, 37 e 38 dello Statuto Siciliano. Le tappe sono state le seguenti: la prima richiesta è stata inoltrata il 15 gennaio 2020; poco meno di un mese dopo, esattamente il 13 febbraio è arrivata la risposta, risposta che, come vedremo, è stata giudicata insoddisfacente; il 19 febbraio è stata inoltrata una seconda richiesta di chiarimento per la quale, al momento, si attende risposta.

Perché tale richiesta? Semplice: perché dal 2003 al 2014, dal bilancio della regione sono mancati più di 30 miliardi, che lo Stato ha ingiustamente riscosso in quota IRPEF, sottraendoli, per l’appunto, alla Sicilia. Com’è possibile un ammanco di tale portata? Da un punto di vista contabile, sarebbe per lo meno inammissibile, oltre che inconcepibile, fuorché nell’universo delle fantasticherie. E se lo stesso ammanco si fosse verificato nel bilancio di un’impresa a causa d’una qualsivoglia forma di distrazione di capitale?

È possibile che esista un conflitto giuridico-tributario tra Stato e Regioni? In linea teorica e sotto il profilo costituzionale, no! Allora, perché lo Stato sottrae il gettito a una Regione? È passata, per caso, una riforma costituzionale, senza che ce ne siamo accorti, oppure la Sicilia, come altre Regioni in Italia, mantiene ancora l’autonomia?

Di fatto, lo Statuto Regionale prevede che le imposte dirette e indirette restino in Sicilia: ciò dal 1946, sebbene Stato e Regione non abbiano finora disciplinato adeguatamente la normativa di attuazione. A proposito di Legge, pertanto, nel rispetto del testo, riportiamo di seguito gli articoli dello Statuto citati:

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A beneficio del lettore poco avvezzo a certi specifici passaggi istituzionali, premettiamo che lo Statuto è stato approvato il 15 maggio 1946, pubblicato nella G.U. del Regno d’Italia n. 133-3 del 10 giugno 1946 e convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.

Ferme restando le anomalie finanziarie degli ultimi dieci anni, già ampiamente denunciate, cos’è accaduto, di recente? Nella precedente legislatura, quella dell’idolatrato ‘cambiamento’, si decise di riconoscere alla Sicilia 7,1 decimi, anziché l’intero gettito IRPEF. In materia di gettito IVA, invece, furono attribuiti unicamente 3,64 decimi. Rivedendo il Beckett de Il Finale di partita: le anomalie si aggiungono alle anomalie a una a una e, un giorno, all’improvviso, c’è il mucchio.

A questo punto, ci pare indispensabile, oltre che rispettoso nei confronti del lettore, fare una deviazione – breve, ma significativa – verso il tema del disavanzo della Regione Sicilia, accertato e denunciato di recente proprio dalle sezioni riunite della Corte dei Conti; il che dev’essere fatto non perché gestione della spesa pubblica regionale e gestione dei trasferimenti erariali siano la stessa cosa (…anzi, non lo sono affatto), ma perché abbiamo il dovere di dimostrare la genuinità dei nostri propositi.

In materia di accertamenti finanziari, in pratica, nel mese di dicembre dello scorso anno, i magistrati contabili della Corte dei Conti hanno dichiarato che verrebbe sottratta “sistematicamente alla gestione di bilancio una quota rilevante degli accantonamenti di legge, generando un’impropria capacità di spesa”. Con riferimento all’esercizio del 2018, il disavanzo supera il miliardo e, di qui, sono transitate profezie di sventura, anatemi, lamentazioni e castronerie d’ogni genere e specie. Nessuno – sia chiaro! – intende dire che la Sicilia è una Regione virtuosa e che i suoi governanti, nel tempo, hanno fatto del proprio meglio, ma leggere titoli di giornali anche piuttosto blasonati in cui si fraintendono grottescamente concetti basilari della macroeconomia è disarmante: si parte dal “disavanzo” e si arriva al “buco” (…di bilancio? Cioè: un reato?); poi si lascia intendere che il “buco” (alcuni dicono di 7 miliardi, altri di 1 miliardo) possa essere ‘spalmato’ (…se è un debito, non si può ‘spalmare’. Ma debito non è!) in dieci anni per concessione del governo centrale; da ultimo, si passa all’aumento dello stipendio dei dirigenti e alle assunzioni ingiustificate. Ecco: questo è il problema dei linguaggi dell’economia: la babelica confusio linguarum di cui parla Umberto Eco ne La ricerca della lingua perfetta in Europa! Dunque: si giudichi pure male l’aumento di stipendio dei dirigenti, si mettano in discussione le assunzioni presso i centri per l’impiego, ma lo si faccia all’interno di un corretto quadro macroeconomico! Se, infatti, si osserva il contesto debitorio ‘nazional-regionale’, le cose cambiano. Il grafico che segue n’è la conferma.

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Qual è la ratio di queste imposizioni tributarie? Non c’è! Questo, forse, è il peggiore dei problemi. La valutazione contabile che ha determinato lo scompenso finanziario ai danni della Regione, in buona sostanza, non è racchiusa in alcuna forma di legittimazione statutaria e costituzionale, tanto che i trasferimenti di gettito, al momento, restano anticostituzionali, ingiustificati, effettuati in violazione della giurisprudenza di riferimento. Chi scrive non è un giurista né un esperto di norme tributarie: è doveroso dirlo; tuttavia, anche un analista dei linguaggi dell’economia è in grado di leggere dei testi e trarne un’analisi comparata. Diversamente: chi scrive è anzitutto un cittadino e un siciliano che chiede di sapere e capire. Di conseguenza, imponendoci di tener fede al dovere d’imparzialità, andiamo avanti e pubblichiamo alcuni frammenti della seconda richiesta di accesso agli atti di Lapunzina.

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La risposta del Dipartimento delle Finanze del MEF (Direzione Studi e Ricerche economico-fiscali, Ufficio VIII) alla prima richiesta, in effetti, è uno strano caso di ragionamento per assurdo. Strano: va precisato. Nella reductio ad absurdum, si parte da un enunciato considerato vero per ‘esclusione’ (principio del terzo escluso), lo si nega per metodo e si tenta di dimostrare l’assurdità logica. Nel caso in specie, invece, ci siamo permessi di definire strano il caso della risposta del dipartimento delle finanze, giacché si parte da una proposizione che si assume come vera, la si nega allo scopo di dimostrare l’assurdità, ma si finisce col dimostrare il contrario. In parole povere: un vero e proprio autogol. Agli effetti della necessaria imparzialità, anche in questa circostanza, ne pubblichiamo qualche frammento.

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Dunque, nel primo frammento, sembra che il richiedente sia stato poco “chiaro”, “generico” perché si sarebbe affidato a una fattispecie non disciplinata. La tesi è bell’e fatta. Partita chiusa – si direbbe. Invece, no.

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Il secondo frammento, infatti, ha un contenuto esplicativo-connotativo e, per certi aspetti, descrive i fatti denunciati dal richiedente. Se però la richiesta è “generica e poco chiara”, vien fatto di chiedersi come si possa avere, in seguito, un contenuto così dettagliato. Passiamo oltre!

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Il terzo e ultimo frammento, che in realtà ne raccoglie due, ci lascia esterrefatti. La recente modifica avrebbe “determinato un incremento dell’importo spettante alla Regione stimato in circa 1,7 miliardi?” Com’è possibile? La richiesta era “generica e poco chiara”, laddove si rinvia pure a un DPR e si usa il participio aggettivale “spettante”? E per di più si dice che le “entrate tributarie erariali sono determinate in base a quanto previsto dalle norme statutarie”?

Conclusione per deduzione: alla Sicilia “spetta” di diritto quel gettito e, nello stesso tempo, quegli articoli dello Statuto riscattano la richiesta dalla genericità e dall’opacità

Vogliate perdonarci! Di cosa abbiamo parlato? E soprattutto: con chi?

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