Globalizzazione addio. Ecco che cosa deve cambiare

scritto da il 03 Novembre 2022

Post di Carlo Giannone, consulente e fondatore di Finanza, Pizza e Mandolino e Pillole di Politica

Negli ultimi due decenni, il triangolo USA-Cina-Russia ha dettato i ritmi della vita globale ed europea. Gli USA hanno assicurato la sicurezza di buona parte delle nazioni nel mondo. La Cina ha aperto nuovi mercati per le numerose multinazionali. La Russia ha garantito quell’afflusso di energia vitale per le attività economiche.

Il Covid dapprima e l’attuale guerra tra Russia e Ucraina hanno rotto questo paradigma conducendo ad una lecita e per alcuni spaventosa, per altri speranzosa domanda: questa era storica rappresenta la fine della globalizzazione?

Che cos’è la globalizzazione

La globalizzazione è quel fenomeno che ha permesso alle nuove generazioni di elevarsi intellettualmente avendo la possibilità di viaggiare, vivere e lavorare in nazioni e culture molto diverse tra loro. Allo stesso modo, la globalizzazione ha consentito alle multinazionali di aumentare esponenzialmente i fatturati aprendo nuovi e ricchi mercati quali l’Asia Pacifica.

Eppure, la globalizzazione ha anche esposto tutti i Paesi a rischi strutturali che si palesano in modo evidente e doloroso in un momento geopolitico così delicato.

Per anni, l’offshoring è sembrato sinonimo di progresso per le aziende globali. Dimezzamento dei costi della produzione facendo outsourcing in Cina, delocalizzazione degli uffici in Paesi dell’Est Europa a basso costo. Le parole dell’anno 2022 sono radicalmente cambiate. Nearshoring and onshoring sono diventate la nuova norma e ambizione a cui tendere.

Cina, Russia e Stati Uniti in rotta di collisione

In un contesto geopolitico destinato a diventare sempre più turbolento e in cui Cina, Russia e USA collideranno incrementalmente in ogni settore dell’attività economica, la globalizzazione si dimostra per la prima volta inadeguata e pericolosa. E non sorprende che stavolta a parlare di indipendenza energetica, alimentare, difensiva non siano solo le forze sovraniste e populiste ma anche parti di un establishment politico consolidato da anni.

globalizzazione

La strada contromano della Germania

Alcuni ritengono questo non sia un vero fenomeno ma solo una tendenza. La Germania sembra seguire una strada diversa. Si adducono alcuni esempi clamorosi. Il discusso progetto di Basf in Cina per un megastabilimento chimico da 10 miliardi di euro nel Guangdong. Oppure l’alleanza tra Volkswagen e Horizon Robotics da 2,4 miliardi di euro per realizzare software e microchip destinati allo sviluppo della guida autonoma. Per non dire della trasferta del cancelliere Olaf Scholz con 12 super top manager al primo vertice ufficiale in Cina dal nuovo Mao, Xi Jinping.

Al seguito di Scholz, che di recente ha concesso tra le polemiche un quarto delle quote del porto di Amburgo al colosso cinese Cosco, i protagonisti dell’economia tedesca (e globale): tra gli altri Bosch, Siemens, Volkswagen, Bmw, Biontech. Tuttavia, è bene contestualizzare questi eventi. Nel breve termine, nel caso dei chip, non esistono alternative immediate in Europa essendo i nuovi progetti quali la megafactory di Intel e di STmicroelectronics appena approvati. Nel medio/lungo termine, tuttavia, le recenti scelte industriali da parte della Commissione Europea favoriranno sempre più i fenomeni di nearshoring e onshoring.

Indietro non si torna, ma…

La pandemia e la guerra hanno insegnato l’importanza del compromesso e della moderazione. Il mondo non potrà mai ritornare ad essere un sistema chiuso e autarchico. Allo stesso modo però la globalizzazione sfrenata e ultraliberale deve far spazio ad un bilanciamento con una maggiore indipendenza nazionale o regionale delle materie prime, delle tecnologie strategiche, della difesa.

Occorre creare un nuovo paradigma che sappia conciliare le due istanze creando una società più sicura, più equa, più sostenibile.

La globalizzazione e l’Europa

Come europei, continueremo a chiedere la difesa degli USA, continueremo a penetrare i mercati asiatici, continueremo a comprare gas e petrolio da Paesi di cui non si condividono le scelte politiche. Ma allo stesso tempo dovremo, in modo categorico, lavorare per avere colossi energetici, per costruire un esercito compatto, per garantire indipendenza in materia finanziaria e tecnologica. Qui, nella nostra Europa.