Pubblica Amministrazione e imprese: serve una rivoluzione culturale

scritto da il 26 Aprile 2021

Le voci dei giovani imprenditori nel ciclo di interviste Call Me Startup hanno indicato come la digitalizzazione, l’agilità e la capacità di adattamento siano alla base del DNA delle startup. Era dunque naturale che le diverse inefficienze burocratiche della macchina statale fossero viste come gravi ostacoli all’avvio e alla gestione di una nuova impresa.

E se i giovani imprenditori insistono nel chiedere snellezza negli incentivi e nei rapporti con la pubblica amministrazione, forse è il caso di iniziare a ripensare il contesto nel quale queste imprese si trovano a operare per cercare di renderlo, se non fertile, quantomeno non ostico.

Tra tutte le inefficienze della pubblica amministrazione, quelle legate al sistema tributario colpiscono le imprese in modo quasi indistinto. In particolare, tutte le risorse che l’impresa dedica al pagamento delle tasse vengono sottratte alla produttività e alla capacità d’investimento: un punto critico soprattutto per le startup, il cui futuro è in gran parte determinato dalla capacità di sostenere finanziariamente l’ingresso nel mercato e le prime fasi di crescita, spesso operando anche in perdita.

Che il rapporto tra le imprese e il sistema tributario italiano sia abbastanza difficile è storia nota, ma per meglio comprendere le dimensioni del problema conviene allargare lo sguardo all’Europa per confrontarci sia con i partner a noi più simili per caratteristiche dimensionali e socioeconomiche, sia con paesi che sembrano aver vinto la sfida della digitalizzazione, riuscendo a costruire un sistema tributario snello e competitivo.

Le dimensioni del problema

Quando si parla di tassazione, l’Italia è spesso indicata come uno dei paesi più svantaggiosi in cui fare impresa, sia per l’alto carico fiscale, sia per la complessità del nostro sistema tributario.

Secondo il rapporto della Tax Foundation, che ogni anno stila il “Tax Competitiveness Index” sulla base di 40 variabili – tra cui anche l’aliquota applicata al reddito di impresa – l’Italia si posiziona al trentaseiesimo posto, ultima tra i paesi OCSE europei per competitività del sistema tributario: il gradino più alto del podio è occupato ormai da sette anni dall’Estonia che, con la sua aliquota fissa al 20% applicata solo al momento della distribuzione degli utili, semplifica le procedure tributarie e incentiva il reinvestimento dei profitti all’interno dell’azienda stessa, favorendone crescita e innovazione.

Ma in realtà il problema dell’Italia non sta tanto nelle aliquote applicate al reddito d’impresa e nel cosiddetto cuneo fiscale (il rapporto fra tasse in busta paga e costo totale del lavoro, più elevato ad esempio in Francia e in Germania che da noi). I problemi del sistema tributario italiano vengono illustrati con chiarezza dallo studio “Doing Business” della Banca Mondiale che, analizzando l’ambiente regolatorio dei vari paesi, assegna un punteggio sulla base di diversi indicatori, tra i quali anche la “facilità nel pagare le tasse”.

 

Italia Francia Germania Estonia
Ranking complessivo 58 32 22 18
Ranking pagamento
tasse
128 61 46 12
# pagamenti all’anno 14 9 9 8
# ore
necessarie per
pagare tasse
238 139 218 50
Post-filing
index
52.4 92.7 97.7 99.4

Il risultato dell’analisi ci restituisce l’immagine di un sistema fiscale caratterizzato da norme poco chiare e difficilmente interpretabili, da cambiamenti normativo-tributari troppo frequenti e da una burocrazia che contribuisce a rendere complicato, lungo e dispendioso il processo di pagamento delle tasse. E se l’esternalizzazione di questo complicatissimo processo può essere sostenuta senza troppe difficoltà da aziende sufficientemente consolidate, la stessa cosa non si può dire per le giovani imprese. Uno studio di ImpresaLavoro del 2015 ha stimato infatti che ogni anno un’impresa italiana di medie dimensioni spende 7.559 euro per adempiere a obblighi burocratici relativi al pagamento delle tasse. Questa cifra, calcolata come prodotto tra il numero di ore annue necessarie per adempimenti fiscali (Doing Business) e il costo orario medio del lavoro dedicato (Eurostat), non ha eguali in Europa.

Sotto questo aspetto, l’Estonia invece risulta essere da anni punta di diamante dei paesi OCSE: grazie a un percorso di modernizzazione dell’economia intrapreso agli inizi del 2000, il paese è ormai da anni uno dei primi al mondo per innovazione e digitalizzazione, soprattutto dal punto di vista delle interazioni tra cittadini/imprese e Stato. Basti pensare che il 99% dei servizi pubblici è disponibile sul web 24 ore al giorno, le tasse sono interamente pagate online e un terzo della popolazione vota via internet. Nonostante la conversione digitale abbia richiesto anni, ormai i servizi di e-Government sono ampiamente accettati dalla popolazione e occupano un posto prioritario nell’agenda dei leader amministrativi e politici. A tutto questo corrispondono riduzioni nei costi, e i costi ridotti permettono un contenuto livello di tassazione: elementare.

La prima rivoluzione delle PA non ha funzionato

Quello del rapporto tra Stato e imprese è un problema che sta assumendo connotazioni sempre più generazionali: se le giovani imprese hanno ormai fatto propri i principi di innovazione, flessibilità e agilità, lo Stato non riesce a rispondere in modo efficace alle esigenze delle nuove generazioni di imprenditori che stanno crescendo sul territorio nazionale.

Rivoluzionare dal punto di vista normativo un sistema articolato come quello italiano richiede studi e riforme organiche e complesse. Tuttavia, vista la rinnovata centralità che il tema ha conquistato nell’agenda di governo, è necessario identificare in modo chiaro gli aspetti metodologici sui quali ricostruire le basi del nostro sistema. In caso contrario non sarà possibile colmare quel divario di efficienza dei processi tra imprese e PA che sembra ad oggi insanabile.

Quando si parla di snellimento delle PA, la prima associazione va subito ai tentativi dello Stato di digitalizzare l’apparato burocratico. Sono stati proprio i progetti pilota avviati e poi abbandonati a mettere in luce la causa primaria di questo fallimento metodologico: nei ruoli decisionali manca la cultura dell’innovazione. L’instabilità della governance dell’informatizzazione, le limitate azioni di coordinamento, la frammentazione degli interventi e la scarsa interoperabilità sono solo alcuni dei sintomi di questo problema, che negli ultimi anni hanno portato unicamente ad una digitalizzazione della burocrazia senza superarne davvero i limiti.

yezers-pa-serve-una-rivoluzione-culturale

Serve un cambio di paradigma

Per supportare al meglio la crescita delle giovani imprese diventa quindi necessaria una vera e propria rivoluzione culturale, da abbracciare a tutti i livelli della gestione della cosa pubblica: velocità e precisione devono diventare i principi cardine di funzionamento delle PA. Pensare però che la trasformazione digitale possa concretizzarsi solo attraverso investimenti strutturali è oltremodo utopistico: la vera sfida passa dalla valorizzazione del capitale umano.

Quando si parla di mancanza di cultura dell’innovazione, basti pensare a quanto poco peso sia stato dato all’aspetto formativo per lo sviluppo delle competenze digitali e manageriali del personale, a fronte di investimenti in progetti di informatizzazione poco corali e fortemente frammentati. Negli ultimi anni i piani formativi delle PA sono stati pressoché nulli e per niente prioritari nelle agende delle pubbliche amministrazioni. E secondo i dati Istat il problema è ancora più marcato nei piccoli comuni, dove un po’ per la carenza di risorse, un po’ per l’anzianità del personale e lo scarso turnover di figure dirigenziali, il digital divide strutturale e culturale si è accentuato ulteriormente.

Affinché una vera trasformazione digitale possa compiersi per davvero, sarà di fondamentale importanza valorizzare i leader amministrativi in grado di interpretare al meglio le necessità di una società sempre più dinamica. È necessario che il “pensiero digitale” entri a far parte in modo sempre più pervasivo in tutti i livelli della pubblica amministrazione, da un lato investendo nella formazione operativa dei funzionari già inseriti nel mondo del lavoro attraverso percorsi di reskilling e upskilling delle competenze in materia digitale, dall’altro rimodulando la scala delle priorità nella valutazione delle competenze dei funzionari del futuro.

Oggi più che mai diventa prioritario un passaggio di consegne generazionale che non sia necessariamente anagrafico, ma soprattutto di utilizzo e consapevolezza delle potenzialità degli strumenti. Se questo passaggio non si concretizzerà, il processo di transizione digitale appena annunciato sarà l’ennesima risposta giusta alla domanda sbagliata. E, data la grande opportunità del NextGenerationEU, questa occasione non può e non deve essere sprecata.

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Gli autori di di questo post sono:
Eneo Bullari
Andrea Fusco
Stefano Tornaghi
Diletta Dini

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Fonti
[1] International tax competitiveness index
[2] Corporate Tax Rates In Europe
[3] Doing Business In Italy
[4] Doing Business in Germany
[5] Doing Business in France
[6] Doing Business in Estonia
[7] Fisco e costi annuali
[8] Yezers
[9] ISTAT e PA
[10] 10 lezioni dalle Startup Italiane e Covid 19