Tassi negativi e liquidità dormiente non rilanciano né il Pil né la finanza

scritto da il 14 Novembre 2019

L’autore del post è Giovanni Pesce, amministratore delegato di Fugen Private SIM –

Ad oggi l’effetto del quantitative easing della BCE e dei tassi negativi sembra aver generato l’unico effetto della tenuta degli indici di Borsa e del prezzo delle obbligazioni pubbliche a tasso fisso.

Quello che non si vede, invece, è un trasferimento delle risorse economiche alle imprese né come aumento del credito operativo, né sotto forma di aumento del credito finanziario. Anche in presenza di un effetto sui mercati secondari, non è scontato che la nuova liquidità immessa nel mercato possa generare linfa destinata alle imprese ed alla crescita.

In più, e in particolare in Italia, la forte propensione al risparmio o all’accantonamento di risorse economiche, percepisce i tassi negativi come un effetto di “impoverimento” e non necessariamente come induzione alla mobilitazione di tali liquidità.

C’è il rischio, ad esempio, che la famiglia che non ha avuto il coraggio di investire in finanza uno o due anni fa non sia certo invogliata a farlo oggi a rendimenti bassissimi o a rischi operativi più alti. In questi casi, ricoprono un ruolo cruciale i consulenti finanziari, che tuttavia sono chiamati al difficilissimo compito di far cambiare tale attendismo. E non è detto che ci possano riuscire.

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L’economia reale non si rilancia con la liquidità parcheggiata o con tassi negativi che non si scaricano sul fatturato dei nuovi crediti. L’economia si rilancia con buone politiche di sviluppo e fiscali che strizzino l’occhio agli investimenti. Penso a politiche sulle agevolazioni, sulla semplificazione burocratica, sul costo effettivo del lavoro e sulla gestione dei settori strategici o trainanti.

Tutto questo avrebbe un effetto immediato e tangibile sul PIL, che al momento è visto solo come un artifizio contabile solo per chi non vuole capirlo.

L’attuale scenario, caratterizzato da liquidità non remunerata e tassi negativi, rischia di rappresentare una forma di investimento associabile ai PIR che, non distinguendo tra finanza emessa sul mercato primario e strumenti quotati, hanno avuto l’unico pregio di drogare le quotazioni di qualunque prestito obbligazionario in circolazione senza in realtà trasferire vere risorse dal risparmio alle imprese.

Il PIL è un problema di burocrazia: non cresce un’impresa se per avviare un progetto sono necessarie lunghe trafile amministrative.

Il PIL è un problema di ordine e priorità: non cresce se un caffè in una città d’arte viene fatto pagare venti euro o una camera di albergo viene presentata per un quattro stelle quando non ne varrebbe due.

Il PIL è un problema di obbiettivi: non cresce se il turismo in Italia c’è per due mesi e poi scompare perché le città più belle e note nel mondo diventano più costose.

Il PIL è un problema di stipendi o salari: non cresce se il netto è la metà del lordo e nessuno sa veramente a cosa serve il lordo.

Tassi negativi ed eccesso di liquidità non rappresentano vere soluzioni a questi problemi e alle altre tantissime difficoltà della nostra economia.